Undergraduate and graduate programmes offered by the University iuav of Venice:

City Portrait. Johannesburg

 

 

Johannesburg before

and after apartheid.

A city in two stories

 

Tuesday June 23th 2015

Wednesday June 24th 2015

Tolentini, aula gradoni

h. 19.30

 

proiezioni

Cry Freedom

Richard Attenborough, 1987

 

Gangster’s Paradise. Jerusalema

Ralph Ziman, 2008

 

 

Cry Freedom

regia di Richard Attemborough, sceneggiatura John Brilev, fotografia Ronnie Taylor, montaggio di Lesley Walker, musiche di George Fenton e Jonas Gwangwa, con Kevin Kline, Kevin McNally, Denzel Washington, Timothy West, John Thaw, produzione Richard Attenborough per Marble Arch Production, Gran Bretagna 1987, durata 157 min.

 

Steve Biko (nel film Denzel Washington), figura storica della lotta alla politica di apartheid attuata in Sudafrica dal 1948, è un giovane carismatico medico negro, fondatore del Movimento “Coscienza Nera”. Arrestato e confinato a King William’s Town, la township  in cui vive con la moglie e due figli,  sostiene e propaganda una forma di resistenza non violenta per il recupero della piena identità culturale e storica dei neri, indirizzata verso la necessaria integrazione razziale. Donald Woods (nel film Kevin Kline), direttore di un giornale progressista, "liberal", tuttavia scettico nei confronti dell'azione politica di Biko, lo incontra segretamente nel luogo in cui è confinato e dove non può incontrare più di una persona contemporaneamente, ricavandone un sentimento di stima crescente che si traduce in autentica amicizia; dalle pagine del suo giornale si fa portavoce delle giuste richieste e dei modi dell’azione di Biko. Arrestato e torturato Biko morirà in carcere nel settembre del 1977. Woods si esporrà nel condannare le responsabilità della polizia speciale, fino ad esporre la sua famiglia - la moglie Wendy e i cinque figli – all’azione punitiva intentata contro di lui dal Ministro della Giustizia Jonny Kruger. Difronte all’aggravarsi delle aggressioni, decide di fuggire in Inghilterra con l’intenzione di pubblicare la storia di Biko e del suo programma politico.

Girato in Zimbabwe, per la situazione politica del Sudafrica prima del 1994, che non lo avrebbe permesso, il film finisce rievocando la strage degli studenti delle scuole di Soweto, che nel 1976 scioperarono contro l’Africans Medium Decree, un decreto che imponeva agli studenti delle scuole per i neri di adottare, oltre all’inglese, l’afrikaans, la lingua dei discendenti dei boeri olandesi, allora al governo del paese. In quella strage furono uccisi centinaia di ragazzi; la cifra ufficiale si ferma a 23 morti.

La strage di Soweto e la repressione che ne seguì, è raccontata dettagliatamente anche in Un’arida stagione bianca, il film ricavato nel 1989 dal regista Euzhan Palcy, dal romanzo di André Brink A Dry White Season, 1979 (in it., Un'arida stagione bianca, Frassinelli, Milano 1989)

(lc)

 

 

Gangster’s Paradise. Jerusalema

regia e sceneggiatura di Ralph Ziman, fotografia Nic Hofmeyer, montaggio David Helfand e Bert Lovitt, musica di Alan Ari Lazar, con Rapulana Seiphemo, Jeffrey Zekele, Robert Hobbs, Mzwandile Ngubeni, produzione Ralph Ziman e Tendeka Metatu, durata 120 min, distribuzione United Int’l Picture, Sudafrica 2008.

 

Il film ripercorre la storia, vera, di Luchy Kunene, un malvivente che negli anni del dopo apartheid studia un abile meccanismo “legale” con cui sfruttare le contraddizioni del mercato immobiliare nel quartiere degradato di Hillbrow, una zona del centro di abbandonato di Johannesburg. Quartiere bianco durante il periodo dell’apartheid, abbandonato dopo il 1994 e decaduto fino ad essere, oggi, un quartiere di marginalità, occupazioni abusive, criminalità. Ralph Ziman ha ricostruito la vicenda personale di Kunene fino a ricostruirne la pratica attraverso la quale questa figura carismatica di malavitoso, facendo occupare palazzi abbandonati da tempo, ne rivendicava legalmente l'usurpazione in tribunale: un fenomeno diventato molto comune a Hillbrow.

La storia criminale di Kunene inizia tuttavia nella township in cui è nato, da una madre religiosa e severa, ma incapace di teneri i suoi figli fuori dal giro della criminalità. Nelle due parti del film si susseguono l’ambiente delle baracche di lamiera in cui vivono tutt’ora molti milioni di immigrati a Johannesburg (come nelle altre città del Sudafrica) e l’ambiente della città, il cui centro, abbandonato dagli abitanti bianchi, dalle banche, dagli uffici e dalla vecchia struttura commerciale, è ora sede di ogni forma possibile di economia informale e di degrado sociale.

Nelle intenzioni del regista, il film vuole dare un quadro realistico della città di Johannesburg, ma nello stesso tempo dare il senso della speranza e delle aspirazione che animano la gran parte dei suoi abitanti, divisi tra voglia di riscatto e cinica accettazione delle conseguenze prodotte della delusione che accompagna la nuova vita democratica della più importante delle città dell’Africa contemporanea. “Hillborow vista da lontano sembra una tranquilla parte di città la “New Gerusalema” del riscatto. Quando si percorrono dall’interno le sue strade si scopre però una realtà diversa” (Ralph Ziman).

Intervistati molti veterani dell’Umkhonto we Sizwe (MK, in Zulu, Speranza di una Nazione), nella fase di preparazione del film è emersa, secondo Ziman, la frustrazione, la povertà e la delusione dei militanti che dagli anni ’60 al 1994 avevano dato vita alla sezione armata dell’Africa National Congress. L’Umkhonto we Sizwe  era stato organizzato da Mandela nel 1961, un anno prima del suo arresto definitivo e dopo il massacro di Sharpeville del marzo 1960, quando la polizia uccise numerosi dimostranti che protestavano contro la Pass Law, la legge che istituiva una sorta di passaporto interno, da esibire all’ingresso e all’uscita dalle township, i quartieri in cui erano segregati i neri. Il fallimento della politica della non violenza e il passaggio alla lotta armata, secondo l’analisi di Ziman, ha prodotto più generazioni di militanti armati i cui ultimi rappresentanti, a distanza di quasi venti anni dal cambio di regime, non trovano l’integrazione in cui speravano. Il finale del film, in qualche modo, sembra giustificare l’atteggiamento di coloro che sanno che in quella situazione, quello che conta è sopravvivere.

 

 

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