
Moby Dick: avventure e scoperte
Autunno-inverno 2021
in copertina:
Alberto Sinigaglia, Untitled, 2010
Tutti i contributi pubblicati in questo numero sono stati sottoposti a un procedimento di revisione tra pari (Double-Blind Peer Review) ai sensi del Regolamento Anvur per la classificazione delle riviste nelle aree non bibliometriche, ad eccezione dei testi presenti nelle rubriche Citazione, Inserto e Racconto.
ISSN 2704-7598
ISBN 978-88-229-0714-1
DOI 10.1400/285873
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Il racconto di Melville è evocato per indicare, ricordare e mettere al centro la “ricerca di frontiera”, modalità d’indagine letteralmente posizionata alle estremità delle conoscenze, al confine di ciò che si sa. Compito di ogni ricerca è superare il già noto, il già dato, ma oltre le vie mainstream lavorare al limite implica affrontare questioni controverse, difficili da dirimere con metodologie assodate, chiede quindi “la mossa del cavallo”, presuppone sperimentazioni anche nel fare. Ancora, la ricerca di frontiera è tesa a confutare paradigmi dominanti, opera con un elevato grado di incertezza e di fallimento.
Autori
Sara Marini (Editoriale); Herman Melville (Citazione); Paolo Portoghesi con Manuel Orazi e Marco Vanucci (Intervista); Andreas Kreul (Progetti); Fabrizio Barozzi, Diletta Trinari (Progetti); Nicola Russi, Alessandro Benetti (Progetti); Pierluca Ditano, Michela Tomasi (Racconti); Sarah Mazzetti (Racconti); Davide Deriu (Saggi); Massimo Rossetti (Saggi); Felice Cimatti (Saggi); Paolo Garbolino (Saggi); Caterina Padoa Schioppa (Saggi); Armin Linke (Inserto); Vittorio Netti, Olga Bannova (Tutorial); Filippo De Dominicis (Archivi); Fernanda De Maio (Archivi); Ana Ivanovska Deskova, Jovan Ivanovski, Vladimir Deskov (Dizionario); Tomà Berlanda (Dizionario); William Boelhower (Dizionario); Giulia Zompa (Dizionario); Alessandro Virgilio Mosetti (Dizionario); Enrico Miglietta (Dizionario).
Indice
Abstract e contributi in accesso aperto
Sara Marini
Moby Dick: avventure e scoperte
Il racconto di Melville è evocato per indicare, ricordare e mettere al centro la “ricerca di frontiera”, modalità d’indagine letteralmente posizionata alle estremità delle conoscenze, al confine di ciò che si sa. Compito di ogni ricerca è superare il già noto, il già dato, ma oltre le vie mainstream lavorare al limite implica affrontare questioni controverse, difficili da dirimere con metodologie assodate, chiede quindi “la mossa del cavallo”, presuppone sperimentazioni anche nel fare. Ancora, la ricerca di frontiera è tesa a confutare paradigmi dominanti, opera con un elevato grado di incertezza e di fallimento.
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Herman Melville
Purpose
Breve estratto da Herman Melville, Moby Dick o la Balena, Adelphi, Milano 1987, p. 42.
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Paolo Portoghesi con Manuel Orazi e Marco Vanucci
Architettura e matematica
Manuel Orazi e Marco Vanucci dialogano con Paolo Portoghesi nella casa studio del maestro in via della Lira a Calcata, un paesino della Tuscia. In questo spazio tutto parla di tempi perduti, di “dèi fuggiti”, di animali in via di estinzione, di libri fuori corso: dopotutto la nostalgia è il materiale progettuale principale dell’architetto romano; tuttavia, l’interesse degli autori verte sugli esordi di Portoghesi legati allo studio della matematica, più che alla stagione del cosiddetto postmoderno, fino all’ultima della geo-architettura. I disegni e i progetti che accompagnano il testo testimoniano un’architettura che muove dalla geometria, dallo studio delle scienze matematiche, dallo studio dei sistemi, dalla teoria dei campi, dal concetto di controllo indiretto sul progetto, per giungere infine al mistico.
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Andreas Kreul
Chiamami Cachalot. Alcune riflessioni su Drawing Restraint #9 di Matthew Barney
Il contributo riflette sull’opera filmica Drawing Restraint #9 (2005) di Matthew Barney, ad oggi l’elaborazione più completa e intensa del tema della balena risalente all’arte del XX e XXI secolo. Nella pratica dell’artista si intrecciano e sovrappongono varie arti, spaziando tra architettura, scultura, filmografia, mitologia, industria e biologia: il termine drawing fa riferimento sia al reale processo di disegnare sia all’estrarre in senso figurato, mentre restraint è la limitazione, in senso attivo e passivo, reale e figurato, di una sorta di disciplina per la creazione della forma. Il film si colloca nel contesto del più ampio progetto Drawing Restraint, nel quale Barney affronta le correlazioni tra resistenza e creatività, tra le resistenze create dall’artista stesso e la propria produzione artistica. Come l’atleta per aumentare la propria massa muscolare deve costantemente superare le resistenze del proprio corpo, così l’artista deve fare con la sua produzione, dove arte e sport rappresentano religioni secolari.
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Fabrizio Barozzi, Diletta Trinari
Senza bussola. London Design District
La sensazione di navigare in mare aperto, apparentemente senza alcun riferimento fisico, è assimilabile al punto di partenza del progetto dello studio Barozzi Veiga per il London Design District. Una delle caratteristiche che distingue questo lavoro dalla maggior parte delle esperienze passate dello studio consiste infatti nell’essere stato sviluppato in prossimità di un contesto non consolidato, in un’area definita da un ampio progetto di rigenerazione, descritto attraverso concetti e parole ma non ancora da spazi tangibili. Se il contesto fornisce la bussola necessaria ad orientarsi verso una certa direzione, in sua assenza il viaggio perde riferimenti concreti e viene definito esclusivamente da ciò che rimane: il navigatore e la sua meta.
L’opera reinterpreta gli elementi modulari e gli spazi di produzione delle manifatture artigianali e delle piccole fabbriche e ricerca affinità con l’atmosfera dello studio d’artista, con la creatività e la sperimentazione. La strategia testimonia la volontà di mettere al centro della propria ricerca non soltanto il progetto architettonico, quanto piuttosto la potenzialità di stabilire delle relazioni nei confronti della realtà, fisica e culturale, in cui viene costruito. Nel contributo gli autori raccontano il progetto come un viaggio la cui meta riassume in sé l’identità stessa del viaggiatore; un progetto che mostra la volontà di stabilire relazioni “lontane”.
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Nicola Russi, Alessandro Benetti
Un’avventura di confine. Sceneggiatura di un progetto in quattro atti
Il testo, strutturato come una pièce in quattro atti, si occupa del progetto di riqualificazione e riuso della Palazzina di via Botta a Milano da parte di Laboratorio Permanente, configuratosi fin dalle sue premesse come un’avventura di confine, con tutte le potenzialità e i rischi che la condizione del margine comporta. L’intervento è stato un’occasione in cui l’architettura si è nutrita delle competenze di una disciplina che le è prossima, il restauro, e soprattutto ha esplorato la soglia spessa e dai contorni incerti che la separa dal mondo realmente altro della scenografia. Il lavoro sulla Palazzina è stata anche una proiezione nell’incognito, un percorso punteggiato di sorprese e imprevisti, un’investigazione scientifica e un viaggio dal sapore letterario che necessita di essere narrato a cavallo tra questi due registri. La conseguenza più rilevante dell’ibridazione tra progetto architettonico e progetto scenografico è probabilmente la sfocatura del confine tra l’autentico e il falso. In questo contesto il restauro dialoga con l’arte della scenografia: le preoccupazioni filologiche del primo s’incontrano con la vocazione al non-autentico della seconda; il confronto tra nozioni di autenticità derivanti da quadri storici e teorici radicalmente diversi determina una vera crisi concettuale.
Spetta all’architetto d’individuare la via d’uscita da questa impasse.
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Pierluca Ditano, Michela Tomasi
(appunti da) Queste cose non avvennero mai ma sono sempre
Il contributo restituisce una selezione di frame dal materiale di ricerca di un documentario in corso di sviluppo e ambientato a Taranto, dal titolo di lavoro Queste cose non avvennero mai ma sono sempre. Il film racconta una sensazione di estraneità che sfocia in un conflitto interiore: una tensione tra il legame profondo con la città e il bisogno di tirarsene fuori, e la frustrazione o la malinconia che ne scaturisce. I personaggi vivono in un limbo, combattono un sentimento ambiguo – tenace e invisibile – verso una città distratta e opprimente. Cercano pace a una costante inquietudine. Moby Dick diventa simbolo di questa ambivalenza tra attrazione e repulsione, incanto e disillusione; un rapporto violento di incontro-scontro, amore-odio verso il proprio luogo. Le immagini low-fi si soffermano su gesti, atmosfere, sagome, abbandoni, spazi extraurbani.
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Sarah Mazzetti
La valigia
Il racconto si compone di una sequenza di cinque illustrazioni parte dell’impianto visivo dell’Extraordinaire voyage de Marona, film di animazione di Anca Damian uscito in Francia nel 2019. Marona, la protagonista, affronta un viaggio straordinario che la porterà in contesti molto differenti fra loro, definiti dalla personalità dei soggetti che si occupano di lei nel corso della pellicola, i cui modi, stili di vita, azioni plasmano formalmente l’ambiente e quindi anche la maniera adottata dai disegnatori per pensarlo e rappresentarlo, gli strumenti utilizzati e il punto di vista volutamente distorto.
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Davide Deriu
Avventure in scala
Il modellismo architettonico è un campo d’indagine incessante. Mentre il modello in scala è progettato per essere appreso a tutto tondo, la sua materialità è stata radicalmente alterata nell’era della riproducibilità tecnica. Nel corso del XX secolo, nuove tecniche e pratiche di visualizzazione hanno alimentato una ricerca inarrestabile di realismo, mentre la percezione della miniatura veniva riconfigurata attraverso l’obiettivo della macchina fotografica. Ulteriori esperimenti di simulazione modello-video hanno affrontato la discrepanza tra la scala umana e quella del modello che è nota come Gulliver Gap. I riferimenti ricorrenti al romanzo di Jonathan Swift nel discorso sul modellismo attestano il fascino delle narrazioni in scala all’interno della cultura architettonica. Ciò è corroborato dal lavoro di fotografi contemporanei, come Naoya Hatakeyama, che hanno esplorato lo spazio inquietante che immaginiamo di abitare quando ci addentriamo nei mondi in miniatura. Tessendo insieme teorie, esperimenti e narrazioni, il saggio traccia come le avventure in scala siano incorporate nell’immaginario architettonico.
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Massimo Rossetti
It’s moving! It’s alive! Nascita, evoluzione, migrazione e morte delle tecnologie
Sono occorsi settant’anni per vedere tradotto in italiano il rapporto Science. The Endless Frontier, messo a punto dall’ingegnere e matematico statunitense Vannevar Bush, direttore dell’Office of Scientific Research and Development, e reso pubblico nel luglio del 1945. Nel giugno 1940 Vannevar Bush incontra l’allora presidente Franklin Delano Roosevelt e gli espone il suo programma per il coinvolgimento della comunità scientifica nel sistema di sicurezza militare nazionale. Ed è nel novembre del 1944 che Roosevelt invia una breve lettera a Bush contenente quattro domande su come il governo Usa possa contribuire allo sviluppo scientifico una volta terminata la guerra, utilizzando l’enorme mole di conoscenze accumulate durante il conflitto. Pubblicato in Italia nel 2013, il Rapporto Bush resta un punto di riferimento nel settore dell’innovazione e del trasferimento tecnologico, mettendo in evidenza come le tecnologie non debbano disperdersi, né restare confinate nell’“alveo” originale del loro concepimento, ma essere divulgate e adattate, in ambiti anche molto diversi da quello di origine, in modo che ne possa beneficiare una collettività sempre più ampia. La presenza di numerosi esempi di tecnologie che si sono spostate da un settore all’altro evidenzia come il fenomeno non possa essere considerato limitato o episodico, bensì strutturato e dotato di una sua natura. La storia è ricca di “tecnologie che non ce l’hanno fatta”, che per vari motivi – nonostante una solida idea di partenza e un’efficacia a volte perfino migliore delle tecnologie dalle quali sono state sconfitte – non sono riuscite a imporsi sul mercato. Le tecnologie quindi nascono, evolvono, migrano e muoiono.
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Felice Cimatti
Divenire blatta. Errore e godimento
Nel romanzo di Clarice Lispector la
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Paolo Garbolino
I segni e le prove
Per millenni cacciatori, medici, alchimisti, giudici, avevano saputo scoprire nelle cose dei segni che servivano a fare congetture, ma la differenza tra i segni nelle cose e i segni nei testi scritti e, con essa, il moderno concetto di prova, matura solo nel XVII secolo, all’interno di una nuova cultura visuale di cui sono protagonisti collezionisti di oggetti antichi, di curiosità naturali e di pitture moderne, eruditi, viaggiatori e naturalisti. Nello stesso periodo i fenomeni rari e insoliti cessano di essere segni di esseri soprannaturali e diventano effetti di cause naturali che li producono più o meno frequentemente. Alla metà del XVII secolo viene formulata una teoria matematica di processi casuali artificiali che esistevano da millenni, i giochi d’azzardo, e diventa pensabile una scienza della congettura che si applichi anche ai fenomeni naturali e che permetta a medici, giudici, filosofi della natura, di misurare la forza delle prove sulla base della frequenza dei segni osservati.
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Caterina Padoa Schioppa
“Giochi semplici e molto seri”
Siamo sicuri che nel processo di semplificazione procedurale – come effetto secondario, non premeditato, della odierna pandemia – non stiamo drasticamente abdicando a cercare nel concetto deleuziano di “realtà virtuale” quella dimensione problematica, intensiva del progetto, attraverso cui siamo in grado di espandere il processo creativo, assecondare i principi di insorgenza e demolire o costruire nuove categorizzazioni formali? L’attuale radicale virtualizzazione delle relazioni può diventare un’opportunità per il progetto? Per tentare di portare a questi interrogativi spunti di riflessioni rileggiamo le ricerche di frontiera (anche tra le discipline) di alcuni protagonisti del made in Italy – Munari, Musmeci, Leonardi, Mari, Dardi – che con le loro “strutturazioni seriali”, con i giochi ripetitivi (intesi come pratica simbolica) concepirono il progetto in senso didattico, come luogo dove sperimentare l’arte della cedevolezza.
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Armin Linke
Indizi
L’inserto raccoglie una selezione di scatti provenienti da alcune serie di Armin Linke dedicate alle galassie dei centri di ricerca scientifica e degli osservatori astronomici. L’oggetto dell’avventura non è solo lo spazio della scoperta, ma le premesse, il corso e gli esiti della ricerca attraverso la rappresentazione dei dati stessi e dei documenti di lavoro. Nello specifico, il contributo si apre con una sequenza fotografica realizzata presso l’osservatorio astronomico di Cerro Paranal, in Cile (1999), si sposta all’International Seabed Authority a Kingston (2016), all’Institute for Computational Engineering and Sciences (ICES) dell’University of Texas ad Austin (2018) e all’European Organization for Nuclear Research (CERN) di Ginevra (2019), per terminare con l’High Performance Computing Center dell’HLRS University of Stuttgart (2019).
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Vittorio Netti, Olga Bannova
Space Architecture. Progettare oltre il cielo
I confini dell’architettura si stanno espandendo rapidamente e presto inizieremo a costruire sulla superficie di altri pianeti, come la Luna e Marte. Gli avamposti umani extraterrestri sono ora parte dei programmi a breve termine di molte agenzie spaziali e non più solo visioni usate nella letteratura e nei film di fantascienza.
Per costruire in un ambiente alieno come lo spazio e altri pianeti, dobbiamo ripensare alcune regole architettoniche, partendo dai bisogni umani di base, perché nello spazio la sopravvivenza e la sicurezza sono diventati i compiti principali che gli architetti devono affrontare. Come gli uomini e le donne del neolitico prima di loro, gli esseri umani dovranno imparare a sopravvivere in un nuovo ambiente e ad affrontare i pericoli dello spazio. Gli Space Architects devono sviluppare nuovi metodi di costruzione, compreso l’utilizzo di materiali in situ, e progettare layout architettonici che siano compatibili con molti vincoli di sicurezza. Anche i viaggiatori spaziali dovranno affrontare un livello senza precedenti di stress fisico e mentale, isolamento e disorientamento, simile alle esperienze degli esploratori antartici e degli operatori di piattaforme petrolifere sulla Terra.
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Filippo De Dominicis
Descrizioni dell’inevitabile e dell’ignoto. Constantinos Doxiadis e l’avvento di Ecumenopolis, 1960/1961
Il contributo è uno studio intorno ai ragionamenti che precedettero e seguirono la prima concettualizzazione di Ecumenopolis, l’insediamento planetario immaginato dall’architetto greco Constantinos A. Doxiadis nel gennaio del 1961. Nato come programma per prevedere le articolazioni spaziali generate da un avvenire di crescita e sviluppo, Ecumenopolis si tradusse ben presto in un grandioso tentativo di guidare il genere umano verso il compimento del proprio destino ultimo. Grazie a un’ampia disponibilità di materiale di archivio, questo studio tenta di esplorare la traiettoria di un insolito strumento progettuale, attraversando tutte le contraddizioni e tutti i paradossi che ne hanno contraddistinto l’elaborazione. Al di là delle interpretazioni consolidate, Ecumenopolis emerge qui come un estremo tentativo di esorcizzare le ossessioni di crescita e sviluppo globale di cui lo stesso Doxiadis era stato espressione, per ricondurre l’habitat umano verso una nuova e più elementare dimensione primordiale.
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Fernanda De Maio
Il corpo dell’architettura “Made in Olivetti”. La Casa Olivetti a Santiago del Cile di Alberto Cruz C. e Miguel Eyquem A., 1973
È sulla collina di Lo Curro ai piedi delle Ande, che Alberto Cruz – fondatore della scuola di architettura di Valparaiso, promotore e autore della prima Travesia di Amereida nel 1965 e della Ciudad Abierta – e Miquel Eyquem, collocano il progetto della casa per i dirigenti della ditta Olivetti in Cile. Il progetto è raccontato in un quaderno del 1973 conservato presso l’archivio José Vial Armstrong della UPCV. Le pagine di schizzi del quaderno che si propongono, svelano l’intreccio e la convergenza in un’opera d’architettura singolare, di due esperienze culturali che hanno delineato in modo incisivo l’identità culturale dei rispettivi paesi in un certo momento storico e l’opera appare oggi come il momento di scambio di una certa idea di “Comunità” e di “Utopia” tra l’Italia e il Cile. Il quaderno di schizzi è costruito in maniera analoga al modo in cui gli architetti della scuola di Valparaiso erano soliti costruire i loro quaderni di bordo, durante le loro traversate – modalità, quelle del viaggio traversata e del libro di bordo, assurte poi a metodo didattico all’interno della scuola di architettura di Valparaiso, vivo ancora oggi, insieme all’esperienza della costruzione continua della Ciudad Abierta di Ritoque.
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Ana Ivanovska Deskova, Jovan Ivanovsky, Vladimir Deskov
Manoeuvre
Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, i primi anni Novanta hanno portato ad una turbolenta dissoluzione del mondo socialista, di cui la Repubblica di Macedonia faceva parte come parte della Federazione Jugoslava. Dalla sua indipendenza del 1991, insieme alle sfide legate alla ristrutturazione politica, economica e sociale, la transizione post-socialista ha innescato una trasformazione spaziale dinamica in particolare nelle città. La capitale, Skopje, si è trovata a svilupparsi in un limbo: il “vecchio” stava morendo e il “nuovo” non poteva nascere. Oltre ai drammatici cambiamenti che hanno portato a una moltitudine di conseguenze spaziali, nel 2010 Skopje ha subito un processo di ri-storicizzazione “oscura”. Il progetto Skopje 2014, finanziato dal Governo, è una manovra per far apparire “invecchiata” la “nuova” Skopje: l’idea bizzarra era quella di recuperare un passato in realtà mai esistito nella città che è passata quasi direttamente dall’epoca ottomana al Modernismo.
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Tomà Berlanda
Navigation
La definizione di Navigation è organizzata come una sceneggiatura cinematografica secondo il modello della struttura in tre atti della scrittura di finzione. Lo scrittore, nato a Venezia e attualmente residente a Città del Capo, è occasionalmente un marinaio. I tre atti – Navigazione in canale, Navigazione sull’oceano, Navigazione sul fiume – si collocano geograficamente in una traversata ideale verso la punta meridionale dell’Africa e, pur muovendosi parzialmente a ritroso nel tempo, intendono condividere le scoperte oltre l’orizzonte visibile.
L’incagliamento della Ever Given nel canale di Suez, l’origine leggendaria del termine posh e la mappa delle migrazioni umane nel Sud Africa disegnata da George Stow sono pretesti per intraprendere un viaggio verso i significati e gli immaginari della navigazione.
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William Boelhower
Ocean
In pochi decenni la nave oceanica ha preso il posto della carovana del deserto ed è diventata il vettore principale per il commercio globale, l’esplorazione e l’avventura nell’ignoto. Progettare nuovi modelli nautici e tecnologie di navigazione era essenziale per le ambizioni imperiali delle nazioni occidentali. Questa mentalità incentrata sul progetto si è estesa alla pianificazione di intere nuove città nelle Americhe, portando all’idea che anche i governi statali potessero essere progettati per migliorare la società civile. Di conseguenza, all’inizio del XVI secolo due nuovi generi letterari sono sorti per catturare gli estremi di questo continuum semantico nave/città: l’utopia e il naufragio popolare. Entrambi i generi sono scaturiti contemporaneamente dai primi resoconti di viaggio che attraversano l’oceano e hanno drammatizzato i trionfi e i fallimenti della pianificazione imperiale, l’utopia a terra e il naufragio in mare. Terra e oceano sono considerati spazi antitetici da tempo immemore: come riporta un proverbio italiano, “Chi è in mare naviga, chi è in terra radica”. In effetti, la terra ha convenzionalmente rappresentato valori costruttivi come la patria, i luoghi della memoria, le ricompense dell’agricoltura, i benefici della civiltà e i trionfi dell’abitare urbano. In mare, nessuno di questi fattori è valido.
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Giulia Zompa
Gruppo
Il contributo articola una riflessione sulla nuova condizione culturale sviluppatasi negli anni Ottanta, definita post-moderna, concentrandosi sull’atteggiamento individualista come sentimento diffuso che incide apertamente sul panorama artistico. In questo senso si evidenzia il passaggio dai gruppi artistici e politici che avevano animato la cultura visiva precedente, all’affermarsi dell’individualità come questione fondante portando ad esempio quanto si verifica nell’area milanese con l’esperienza all’interno della ex fabbrica Brown Boveri: dall’ottobre 1984 al maggio 1985 alcuni studenti e amici di questi decidono di occupare lo stabile per un momentaneo riutilizzo per sperimentazioni artistiche. Si tratta di un’aggregazione spontanea di giovani accomunati dalla ricerca di libertà creativa che delinea così un contesto in cui tutto può essere fatto. Tale accadimento promuove una sensibilità diversa che ha un effetto di lunga durata sulla scena artistica locale e non solo.
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Alessandro Virgilio Mosetti
Hic
La relazione sottesa tra luogo e tempo così come esemplificata dall’espressione hic et nunc verrà messa in crisi mediante la presentazione di un progetto di architettura di Alison Smithson. La Cliff House disegnata per lo scrittore Wayland Young è di per sé un progetto atipico: radicata alla topografia del luogo costiero, la casa si configura come un corpo calcificato di un mostro marino arenato. Ad una quota rilevata rispetto al sito scelto per l’abitazione, prospetta un rudere di un cottage. Contrariamente alle prescrizioni di legge, Alison Smithson operava la scelta di non includere il rudere nel disegno della nuova abitazione; motivo per cui la proposta sarebbe stata rifiutata. Ciò che emerge dalla lettura del progetto è un gioco di sguardi tra relitti, dove l’architettura progettata è già intesa come scheletro di un immaginario specchiato a un suo doppio reale. La Cliff House narra l’avventura progettuale di un fallimento desiderato: da hic et nunc a ubique et semper.
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Enrico Miglietta
Intuito
Intùito è l’abilità di guardare, comprendere e prendere decisioni sulla base di precedenti esperienze in forma semplice e immediata. Ambigua “balena bianca” delle scienze, spesso trascurata se non disdegnata da professionisti ed educatori, ancor oggi è avvolta da un’aura mistica da cui fatica a svincolarsi.
In realtà al processo di emersione di questa forma di tacita conoscenza sono state educate, con relativa consapevolezza, generazioni di architetti e, in generale, chiunque abbia a che fare con pratiche artistiche.
Anche in campi in cui solitamente se ne avversa l’uso, alcune ricerche in tempi recenti hanno provato ad approfondirne i meccanismi di funzionamento come alternativa a quella diffusa cultura della razionalità messa in discussione dalla crisi del professionismo.
Questionare l’affidabilità dell’intuito potrebbe essere un modo errato di affrontare l’argomento e piuttosto, l’analisi delle sue diverse forme, evidenzia come la sua comprensione possa essere la via maestra per un nuovo tipo di conoscenza.
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