in copertina:
altrospazio, Collegi. Giancarlo De Carlo, 2015
“Nei vari momenti il viaggiatore ha sempre una direzione nella testa, come se andasse verso una conclusione, e come se ci fosse qualcosa da concludere”. ― G. Celati, Verso la foce. Reportage per un amico fotografo
“Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza: se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io, del resto, considero degno di ogni più scandalosa ricerca”. ― P.P. Pasolini, Scritti corsari
“All’ammirazione per quest’uomo sublime deve aggiungersi un altro sentimento di ammirazione e di venerazione che va non più a un essere umano, ma all’armonia misteriosa della natura nella quale siamo nati. Fin dall’antichità gli uomini hanno immaginato le curve rispondenti a leggi per quanto possibile semplici: fra esse, vicino alla retta, l’ellisse e l’iperbole. Ora vediamo queste forme realizzate nelle traiettorie descritte dai corpi celesti, almeno con grande approssimazione. Sembra che la natura umana sia tenuta a costruire indipendentemente le forme prima di poterne dimostrare l’esistenza nella natura”. ― A. Einstein, Il mondo come io lo vedo
Nel silenzio della campagna urbinate, una casa è costruita su un colle e sopra a una vecchia cantina. Dentro, in due piccole stanze claustrali, gemelle e specchiate sono ospitati due letti sui quali incombono lucernai per guardare la notte o il cielo terso. Pareti di plexiglas trasparente sostengono una teoria di stanze d’oro, una sequenza di cupole e campanili “che ascende e discende, che buca il cielo e si impicca nella terra”: è il modello di un’architettura nuova e antica per un museo a Salisburgo che non sarà realizzata. Un foglio ingiallito, custodito nell’Archivio Progetti dell’Università Iuav di Venezia, racconta, con una costellazione di diagrammi stellari, alcuni risultati delle interviste utili a redigere un piano per la città bulgara di Plovdiv.
Già solo queste immagini, tratte da una casa in campagna, da una maquette oggi a Parigi, da un foglio invecchiato conservato in una città di laguna, tracciano traiettorie discordanti il cui disegno può essere perseguito, per immaginare future mete, o modificato, per imporre cambi di rotta.
Nel 2005 scompare Giancarlo De Carlo (da ora GDC), ufficiale di Marina, architetto e ingegnere, professore, membro del Team 10, fondatore dell’International Laboratory of Architecture & Urban Design (ILA&UD), direttore della rivista “Spazio e Società” e della collana editoriale “Struttura e forma urbana”, autore di numerosi piani e progetti realizzati, di proposte e architetture rimaste sulla carta, di libri e scritti, allergico a etichette e a manifesti.
A vent’anni dalla sua scomparsa è possibile leggere nel particolare le molteplici direzioni ancora vive che quest’autore ha segnato, ma anche, al contempo, guardare in generale la moltiplicazione delle traiettorie come approccio. Se per Franco Rella il racconto ha il ruolo di svelare un mutamento e quindi è lo spazio di costruzione di una traiettoria, per Jacques Derrida è necessario cercare in “frammenti di movimento senza raccordo” la formazione di un ampio gesto continuo. Qui la compresenza di traiettorie è cercata come modusoperandi, è una postura, una figura che sprigiona energie discordanti. Quest’immagine stellare è fondata su azioni quali: chiudere con passati, cambiare idea, nuotare contro-corrente, rilanciare al futuro, scrivere di dubbi e fallimenti, lasciare tracce incomplete che altri potrebbero interpretare e soprattutto restare in viaggio.
Si vuole certamente celebrare un autore ma anche, a partire dalla costellazione delle traiettorie che ha disegnato, riflettere sulla possibilità di rilanciare un’idea di progetto a tutto campo, sfaccettata e agita con strumenti e in campi diversi. L’opera di GDC è quindi qui una mappa cangiante: sotto una precisa luce racconta vicende concrete, storie evidenti e, ancora, spazi d’ombra da illuminare con nuove ricerche, da un’altra angolazione appare come dispositivo astratto per scrivere altri testi e derive.
Navigando si cambia rotta per evitare definizioni limitanti e il cristallizzarsi in una identità sterile, si costruiscono estetiche senza manifesto, si intercettano traiettorie non evidenti. In un documento intitolato La traiettoria alternativa GDC fissa “cinque punti di riferimento” che se raccordati ritraggono la direzione annunciata. Nel testo si aprono così cinque scene a cui partecipano viaggi, libri, fotografie, autori, testi e realtà a tratteggiare una via alternativa del progetto: è il tentativo di dare racconto a ciò che non ha assunto una forma, a ciò che proprio a causa della sua non linearità non è stato messo a fuoco, a ciò che si può solo intravedere forse più chiaramente oggi. Ma l’immagine delle “traiettorie” non è qui autoriale: è quanto più coincide con i movimenti della società, né caotici, né uniformi, certamente difficili da disegnare se non con tecniche che considerano contraddizioni e mutamenti nel tempo, ovvero che hanno come oggetto l’“uso” e non il facile marchio della “funzione”.
Fare bilanci è tornare sul “luogo del delitto” oltre il momento sacro della conclusione dell’opera vuota, verificare come la vita scorre dentro. Il bilancio è uno strumento di lavoro per GDC: tornare a vedere le proprie opere in uso è parte di quell’estensione del processo progettuale che afferma in molti suoi testi. L’architettura è, per questo autore, un campo allargato di idee e azioni, non deve evaporare ma espandersi al prima e al dopo la costruzione dell’opera, dilatare non solo i propri compiti ma anche le proprie responsabilità. Amare sono poi molte delle conclusioni che GDC traccia di diverse esperienze, eppure alcune sue traiettorie sono oggi più vive di allora, forse riemerse, forse uscite da una posizione, allora, di minoranza. Nel 1954 pubblica nella rivista “Casabella Continuità” il testo Intenzioni e risultati della mostra di urbanistica, dedicato agli esiti della “Mostra dell’urbanistica” tenutasi alla X Triennale di Milano dove riconosce il parziale fallimento del proprio lavoro. Se infatti il discorso portato avanti dalla mostra ha avuto un riscontro presso specialisti, “il discorso rivolto al pubblico non è stato altrettanto efficace. Mentre i cortometraggi hanno avuto un’immediata presa – che sarà certo più ampia quando verranno proiettati nei circuiti normali – la mostra è rimasta difficile e in alcuni passaggi inaccessibile”.
Guardare il mondo è viaggiare nel mondo, dentro squarci di realtà per imparare dalle città, per cercare immagini, paesaggi o situazioni che entrano nell’archivio dell’esperienza. Nel suo libro Nelle città del mondo raccoglie alcuni scritti senza dare loro una forma omogenea, restituendoli come un insieme di appunti, come frammenti. Il titolo rimanda a Le città del mondo, romanzo di Elio Vittorini: una presenza che torna in diversi passaggi della vita e del lavoro di GDC. Ma di nuovo le traiettorie si diramano: se Vittorini guarda e racconta le città “da fuori”, De Carlo vi si immerge, entra nelle città. “Il titolo che ho proposto per la raccolta di questi miei scritti riprende dunque quello che era stato dato al libro di Vittorini quella sera. Solo una proposizione è stata aggiunta per avvertire che il suo significato è tutt’altro, che la mia veduta è dall’interno”.
Nelle città del mondo si va anche ascoltando gli spiriti che le abitano, come ribadito da GDC nel testo Gli spiriti del Palazzo Ducale e nella raccolta di saggi Gli spiriti dell’architettura a cura di Livio Sichirollo. Con gli spiriti, con gli autori che nel tempo hanno realizzato l’architettura dei luoghi sono costruite sfide che superano la distanza di secoli. “Ma ancora voglio ringraziare, dicendo il suo nome, Francesco di Giorgio Martini, per avermi ospitato in questo Palazzo e specialmente in questa sala dove, nei giorni di grande allegrezza, Federico riceveva ambasciatori, artisti e onorati cittadini. Ho oggi più che mai il presentimento di aver conosciuto di Francesco di Giorgio i tormenti e le passioni; e stamattina, entrando ancora una volta in questo spazio per essere festeggiato, ho ritrovato il dubbio che probabilmente ci ha attanagliati entrambi per la vita: se per celebrare con l’architettura sia meglio dilatare le dimensioni oppure densificare i significati; come lui stesso ha fatto, con grande successo, lavorando in scala più piccola, un poco più avanti, nello studiolo dei Torricini”.
Moltiplicare le traiettorie equivale a non avere maestri o ad avere un riferimento, un avversario per ogni stagione, ovvero avere molti maestri e coltivare allievi che possano andare anche in altre direzioni. È una storia rintracciabile in tutti i campi: i seminari hegeliani che Alexandre Kojève tiene a Parigi negli anni Trenta del Novecento “alimentano” molteplici autori, da Lacan a Bataille, da Merleau-Ponty a Queneau. Enric Miralles si dirà allievo dell’ILA&UD, a cui partecipa prima come studente e pochi anni dopo come docente, eppure la sua ricerca segna una linea molto distante da quella di GDC. Il terreno comune, rintracciabile a distanza di tempo, è un’idea di luogo potenziata in tutte le direzioni, materiali e intangibili, allargata a tutte le storie e le terre, anche quelle minori.
Spazio e società sono appunto un unicum da leggere ascoltando voci e abbattendo luoghi comuni. Ne è testimonianza, ad esempio, l’insieme dei progetti per Matera: quello proposto per il concorso perso per la realizzazione del quartiere Spine Bianche, quello per un edificio realizzato e presentato all’ultimo Ciam, e ancora prima il processo d’indagine partecipativo messo in campo per capire le immagini che guidano i desideri. “Non ho usato finestre orizzontali, né il tetto piano, né pilotis. Ho dotato la casa di un portico, di un grande tetto a falde, di finestre verticali: perché a Matera il paesaggio si percepisce per tagli trasversali […]. Non era vero che gli abitanti dei Sassi volessero nuovi Sassi, ma con bagno, cucina e riscaldamento. Questo lo pensavano gli architetti e i sociologi neorealisti. In realtà il modello che gli abitanti dei Sassi guardavano era quello della cattedrale e dell’arcivescovado, che dominano dall’alto i profondi baratri dei due Sassi”.
Ma i principi qui elencati senza i modi che li hanno allora tradotti in realtà, e che ancora oggi possono disegnare modi possibili, potrebbero sembrare forme convesse, inaccessibili, ideali non perseguibili. Il modo principale è sempre rintracciabile dentro la metafora della nave (remember Moby-Dick), non per tradurla in una forma, ma per il suo descrivere al meglio il fare ricerca, ipotizzando terre, muovendosi in più direzioni, impostando mete anche disattese, lavorando in gruppo, lasciando che altri prendano diverse direzioni. GDC era un uomo delle istituzioni ma ha lavorato anche a latere, costruendo realtà interne e parallele nelle quali ha tracciato le sue rotte. La rivista che ha diretto, “Spazio e società”, è stata una piattaforma aperta a tutte le culture, a voci e progetti provenienti da diverse realtà del mondo: abbattendo confini e gerarchie ha cercato di collegare, in modo critico, il discorso architettonico italiano a prospettive che poi, solo nel tempo, sono diventate evidenti. Certamente servono molte alleanze per costruire molteplici traiettorie con e a favore del grande numero, che non è la massa ma la somma di precise singolarità. Il racconto, come ricordato da Rella – ovvero scrivere, parlare, immaginare, disegnare, mostrare, discutere, realizzare, tornare a vedere quanto realizzato e progettare la propria eredità –, narra sempre il mutamento ed è a partire dal racconto che si mettono a fuoco le traiettorie che erano già e che verranno.
Sara Marini
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Calendario per la pubblicazione di Vesper No. 13
Uscita: novembre 2025
Rubriche: Progetto, Saggio, Viaggio, Archivio, Ring, Tutorial, Traduzione, Fundamentals
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