Undergraduate and graduate programmes offered by the University iuav of Venice:

ricerche

 

2022-2023

 

Elena Fava

Pitti Trend e l’avanguardia del Made in Italy

Il progetto offre l’occasione di entrare nelle pieghe di un decennio tutt’altro che omogeneo come gli anni ottanta e di ricostruire, attraverso l’ausilio di documenti d’archivio, la storia del salone fiorentino Pitti Trend, storia che nella letteratura critica è restituita in maniera sincopata e non sempre lineare. La manifestazione si esaurisce in sole otto edizioni (1985-88) e si innesta nel vivace clima culturale della città di Firenze, caratterizzato da uno spirito sovversivo e innovativo che coinvolge campi diversi con una trasversalità facilitata dal mondo giovanile. Pitti Trend nasce con il proposito di valorizzare la moda prodotta dai giovani per i giovani e offre una vetrina agli stilisti emergenti, agendo come aggregatore di proposte sperimentali, spesso autoprodotte, che si qualificano come alternative a quelle degli stilisti di fama, e che sottendono un riequilibrio di forze tra produzione artigianale e industriale, ovvero le due polarità su cui si fonda il prêt-à-porter italiano.

Individuare gli attori che hanno sostenuto Pitti Trend, mappare la schiera di piccoli produttori e di giovani designer italiani che, insieme alle presenze internazionali, hanno animato la manifestazione e analizzarne la ricaduta di immagine sono le azioni che si intende intraprendere per problematizzare il concetto ondivago di Made in Italy.

 

Stefania Mangini

Infrastrutture, immaginari e identità

Il villaggio vacanze e l’invenzione di un nuovo paesaggio

Valtur, acronimo di Valorizzazione Turistica, si costituisce nel 1964 come una società animata da una parte dalla cultura della grande impresa italiana e dall’altra da quella coscienza, anche politica, che vede nell’architettura turistica uno strumento capace di riattivare parti di territorio dimenticate, flussi antropici ed economici. Nel corso di tre decenni – dagli anni ‘70 fino alla fine degli anni ‘90 – oltre a diventare una ludoteca della memoria estiva, l’azienda inventa e promuove un nuovo modello di turismo che si traduce nella progettazione di decine di villaggi turistici spesso realizzati su brani di costa anche incontaminati, con il preciso intento di instaurare un rapporto significativo con il paesaggio, svelandone e valorizzandone la vocazione e le potenzialità latenti. Nonostante questa capacità di presidiare e attivare punti nodali del territorio si sia rivelata nella proiezione geografica di molti luoghi riconosciuti come oasi e riserve naturalistiche, la crisi del modello turistico ha comportato l’abbandono e la dismissione di alcuni di questi impianti.

La ricerca si muove dall’analisi di questi fenomeni, con la volontà di coglierne i paradigmi e di comprendere le potenzialità intrinseche – anche nel fallimento – di una tipologia che sin dagli intenti programmatici si assume un ruolo strategico lega- to all’infrastrutturazione e alla valorizzazione economica del territorio, con l’obiettivo di facilitarne e orientarne lo sviluppo sistemico.

 

Elisa Pegorin

La città tessile

Tra abbandono e riuso: ricucire Vittorio Veneto

L’industria tessile – lana, seta, viscosa – ha rappresentato un’eccellenza della tradizione produttiva italiana (e veneta), regolando il territorio in una complessa rete di un’economia circolare che, nel passato, impediva lo scarto sulla base di uno stretto legame tra l’allevamento (nelle aree montane) e lo sviluppo produttivo dei centri urbani. Tracce visibili di questo connubio tra produzione e territorio sono le architetture del tessile che, a partire dagli anni ‘80-‘90 del secolo scorso – anche a causa della pressione di un’economia globalizzata a basso costo e delocalizzata – hanno subito un progressivo abbandono, con una conseguente perdita non solo economico-produttiva, ma anche identitaria e sociale. Le fabbriche tessili ancora attive sono state in grado di superare tale crisi non solamente innovando la produzione, ma trasformandosi in “nuovi” luoghi, includendo arte e cultura nella fabbrica vista non più solo come macchina produttiva ma come spazio della collettività legato alla città. La ricerca intende riflettere su questi fenomeni, nel caso specifico di Vittorio Veneto, avviando una lettura interdisciplinare sistemica che a partire da esperienze passate e attuali tenti di ricucire una nuova sinergia, riconfigurando nuove trame narrative e individuando processi “alternativi" di rigenerazione.

 

Marco Scotti

Ettore Sottsass Jr., Memphis e il design nei primi anni Ottanta: un percorso tra gli archivi

Partendo dal ruolo degli archivi, questo progetto si propone di affrontare una ricerca storica che punta a valorizzare i fondamenti del Made in Italy, indagando un aspetto della pratica di Ettore Sottsass Jr, il design dell’oggetto e dell’arredo e le collaborazioni con imprese e altri professionisti, in un contesto storico preciso, gli anni fra il 1975 e il 1987, ossia il periodo germinale degli anni Ottanta. Il lavoro del designer sarà affrontato ripartendo dalle fonti primarie e dalle ricerche più recenti per mettere a fuoco alcuni nodi critici fondamentali intorno a una figura che attraverso l’archivio ha sempre creato una rappresentazione di sé. In particolare la ricerca prenderà in considerazione due momenti, corrispondenti ad altrettanti fondi: il collettivo Memphis e la Sottsass Associati. I due percorsi saranno messi a confronto, integrando le fonti primarie con quelle conservate in istituzioni e aziende. Questo progetto vuole delimitare un ambito per arrivare ad arricchire il dibattito in corso, considerando materiali spesso inediti, ricostruendo di volta in volta sia la produzione del designer sia la sua prospettiva teorica e trasversale ai linguaggi. Gli esiti saranno una serie di pubblicazioni che avranno l’obiettivo di ampliare le prospettive di studio rispetto ad alcuni momenti centrali non solo per quanto riguarda una prospettiva monografica, ma per una più ampia visione della storia del design.

 

Stefano Tornieri

Future Fish Landscape.

Forme dell’innovazione nei paesaggi della produzione ittica

Pesca e allevamento ittico sono attività che nel prossimo futuro affronteranno importanti sviluppi in termini quantitativi e qualitativi, influendo su società, economia, e morfologia territoriale. La produzione dell’acquacoltura è in costante aumento e costituisce una potenziale soluzione per integrare o sostituire la pesca in declino (FAO, 2020; Costello et al., 2020; Stentiford et al., 2020). Tuttavia, la forte crescita della produzione ittica mondiale è stata anche associata a svantaggi ambientali e sociali (Aubin et al., 2019), evidenziando la necessità di nuovi approcci che concilino l’acquacoltura e pesca con la conservazione e benefici per la società (Le Gouvello et al., 2017) e che costruiscano nuove morfologie e paesaggi, principalmente nell’interfaccia costiera.

Attraverso confronti con diverse realtà e progetti si vogliono indagare le morfologie e le caratterizzazioni spaziali che le innovazioni digitali e altre (tra cui gli indirizzi dell’Ecological Transition come EA Ecosystem Approach, NBS Nature Based Solution, etc.) innescano nei paesaggi costieri legati al mondo della produzione ittica. L’obiettivo è indagare e analizzare le tendenze architettoniche e paesaggistiche che le innovazioni comportano e in seguito, tramite il metodo del Research by Design, proporre un metaprogetto per la fascia costiera veneta con lo scopo di individuare strategie e criticità dei futuri paesaggi della produzione ittica.

 

Remi Wacogne

La partecipazione ambientale nel 'Belpaese': patrimonio culturale e paesaggio nelle procedure di dibattito pubblico

A più di quattro anni dall'introduzione della procedura di dibattito pubblico in Italia, il progetto di ricerca intende indagare da un lato l'incidenza di tale procedura sul patrimonio culturale e sui paesaggi, e dall'altro esplorare i modi in cui quest'ultimi vengono trattati in quel contesto. In una fase segnata dal PNRR e dal relativo cospicuo quadro di investimenti progettuali e infrastrutturali, nonché da diversi interventi di valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, le procedure di dibattito pubblico offrono occasioni uniche di interrogare il rapporto tra grandi opere, comunità locali e patrimonio culturale e paesaggio. La ricerca proposta fornirà innanzitutto un quadro dei progetti e delle relative procedure in di dibattito pubblico avviate o tuttora in corso, evidenziando le aree pertinenti a siti Patrimonio Mondiale e alle loro zone tampone, ai parchi nazionali e regionali e alle aree marine protette (DPCM del 10 maggio 2018, n.76, art. 3). Si tratterà allora di analizzare i processi territoriali in gioco, attraverso una mappatura dei portatori d'interesse e degli scenari delineati dagli stessi in rapporto alle opere sottoposte a dibattito pubblico.

 

 

2021-2022

 

Marco Capponi

Manfredo Tafuri e l’operaismo. Fonti, parole, voci

La ricerca è proseguita allo scopo di individuare un caso studio specifico attraverso il quale ripercorrere e verificare il metodo di lavoro di Manfredo Tafuri, identificato infine nel corso monografico tenuto dal docente nell’anno accademico 1972-73 sul tema della storia dell’ideologia antiurbana dal XVI al XX secolo.

A differenza di altri, questo corso ha avuto esiti editoriali diversi, che vanno, almeno in parte, da Progetto e utopia (1973) all’impostazione stessa e a intere sezioni del volume Architettura contemporanea (1976), scritto a quattro mani con Francesco Dal Co, ma frutto di un lavoro di gruppo iniziato all’interno dell’Istituto di storia dell’architettura dell’IUAV già dal 1970. La possibilità di partire dalle annotazioni autografe su testi utilizzati per lo studio, per arrivare a un confronto con le registrazioni delle lezioni, il materiale didattico fornito agli studenti e infine i testi pubblicati ha consentito di comprendere scarti e continuità: nel sovvertire innanzitutto quelle che gli architetti ritenevano essere le origini dell’urbanistica moderna – criticando dunque un ritorno all’utopismo premarxista – e nel mettere in guardia di fronte a una crescente gestione capitalistica del territorio, questione peraltro ancora centrale nella successiva Storia dell’architettura italiana (1982, rivista e ampliata nel 1986).

L’utilizzo delle registrazioni come fonti per la ricerca ha inoltre richiesto una riflessione preliminare su metodi e tecniche della storia orale.

 

Elena Fava

Il modo italiano. Moda e design: laboratori di idee, linguaggi, prodotti

Il progetto si pone in continuità con le ricerche condotte nel corso dei precedenti assegni, dedicate al network progettuale attivato dal Centro Design Montefibre di Milano e all’approccio multimedia della fashion designer Cinzia Ruggeri, sia per le tematiche trattate, che attraversano moda e design, sia per il contesto culturale che nutre queste esperienze, caratterizzato dall’esaurimento della stagione Radical e dall’affermazione dell’estetica postmoderna.

Pur mantenendo il focus sul progetto di moda, si è deciso di analizzare intrecci, reciproche interferenze e divergenze tra gli ambiti della moda e quello dell’industrial design così da restituire una lettura integrata dei due settori. L’obiettivo è quello di individuare le eventuali peculiarità di un “modo italiano” di affrontare il progetto, confrontare le posizioni critiche che genera la riflessione sul Made in Italy e verificarne la ricaduta nella cultura contemporanea.

Come è noto, per l’Italia uscita dagli anni di piombo gli anni Ottanta coincidono con l’affermazione internazionale del Made in Italy. L’etichetta definisce un prodotto di qualità, per forma e contenuto, che trova nella moda e nel design due declinazioni di successo. Più in generale qualifica uno stile di vita e l’atteggiamento di ricerca che ne scaturisce e che viene praticato da singoli designer, gruppi organizzati e aggregazioni mutevoli di artisti e progettisti accomunate dallo stesso atteggiamento interrogativo verso la cultura del progetto, orientate agli sconfinamenti disciplinari e alla sperimentazione di forme e linguaggi.

Ripercorrere le attività editoriali ed espositive che fioriscono nel corso degli anni Ottanta permette di osservare i processi che innescano forme di contaminazione ricercata o frizioni tra gli ambiti disciplinari, e l’incidenza di questi fattori nel dibattito sul Made in Italy. Considerare l’eredità di quel decennio è un esercizio utile nella prospettiva del nuovo millennio e pone interrogativi sul valore culturale che oggi attribuiamo a idee, linguaggi e prodotti associati a questa fortunata e ondivaga etichetta.

 

Stefania Mangini

Infrastrutture, immaginari, identità

Nella prospettiva che vede la duplice dimensione del termine paesaggio quale territorio fisico e sua rappresentazione (Farinelli, Casabella, 575-576, 1991), la coagulazione dell’immaginario di un territorio attorno ad alcune icone facilmente riconoscibili alla base di tutti i fenomeni di place branding e, quindi, i loro tentativi di comunicare un'identità precisa quanto desiderabile di un luogo, appaiono naturalmente costitutivi del paesaggio stesso.

Inoltre, la società profondamente consumistica ereditata dalla modernità, ha compresso ulteriormente lo spazio che intercorre tra il desiderio di un paesaggio e la sua definizione iconografica, promuovendo la creazione e la promozione di veri e propri immaginari geografici capaci di condizionare i maggiori flussi turistici.

Se è vero che questa forma simbolica del paesaggio, prodotta «dalla tensione tra soggetto ed oggetto, tra sfera personale ed ambito sociale, tra dato culturale e campo naturale, […] s'avvia a produrre nuove mode», è altrettanto vero che l’emergenza pandemica ha rimarcato una fisionomia degli spostamenti che risponde a principi e piani strategici sempre più legati alla dimensione della prossimità e della lentezza, costruendo le basi per un approccio più consapevole e più sostenibile al territorio, anteponendo la qualità alla quantità e alle mode, oltre a porre una maggiore attenzione verso le risorse locali.

Alla luce della contingente fase di riorganizzazione dei servizi e degli investimenti, la ricerca si propone, attraverso l’osservazione critica, la mappatura ed il confronto tra diverse infrastrutture per la mobilità, di verificare come gli strumenti e le dinamiche del progetto dell’architettura infrastrutturale intendono assorbire o hanno già assorbito, declinato ed esposto le strategie del brand territoriale, cogliendo metodologie, processi, riflessioni avviate – e non del tutto percorse – e propositi disattesi, rispetto alle tematiche di valorizzazione del territorio, sostenibilità ambientale e tutela della salute individuale e collettiva.

 

Elisa Pegorin

LE VIE DELLA LANA

Territori, architetture, produzione: dagli ex-lanifici allo scarto laniero in Veneto.

La produzione della lana ha da sempre rappresentato un’eccellenza italiana, in particolare in Veneto.

La possibilità di una “filiera corta”, che prevede l’uso delle lane autoctone e il riutilizzo della lana ‘sucida’ (di scarto) – che nelle aree alpine e prealpine formano uno stretto legame con il territorio – rappresenta oggi una risorsa plurale: dalla cura del paesaggio alla cultura manifatturiera, dal benessere economico alla configurazione urbana.

A partire però dagli anni ’90 del secolo scorso, la forte accelerazione verso un’economia globalizzata (a basso costo e delocalizzata) ha fortemente indebolito il settore laniero con una lenta, ma costante, perdita identitaria, produttiva, sociale, economica – testimoniata dalla chiusura dei numerosi lanifici presenti sul territorio, parallelamente al progressivo spopolamento delle aree interne montane.

Partendo dalle cause e dalle fragilità del settore laniero in Veneto, obiettivo specifico della ricerca è proporre un progetto per la salvaguardia, riuso, recupero – non solo del patrimonio architettonico, ma anche di una cultura manifatturiera, attraverso la definizione di sistemi territoriali “sovra-locali” per ripensare il territorio in termini di attrattività e abitabilità. L’aumento della produzione, inevitabilmente, può contribuire non solo a una maggiore residenzialità – stabile o stagionale – ma anche a una cura del paesaggio (antropico e naturale). Queste “archeologie industriali” si trovano oggi a un bivio evolutivo: scomparire o intraprendere nuovi percorsi di rinascita produttiva e territoriale. L’heritage industriale non ha avuto, in Veneto, solo una rilevanza storica e produttiva, ma anche urbana grazie al ruolo di intervento attivo sulle città: un insieme di “micro-storie” nella storia che raccontano l’evoluzione di un patrimonio con una grande flessibilità degli spazi, capaci di riadattarsi a nuove funzioni.

 

Stefano Tornieri

AMBIENTI MEDIALI. Analisi e progetto di una nuova generazione di infrastrutture

Attraverso un ripensamento del concetto di infrastruttura, AMBIENTI MEDIALI si pone l'obiettivo di sviluppare nuovi principi progettuali in grado di rispondere alle condizioni di criticità che coinvolgono i paesaggi costieri, di foce e di delta fluviale. Oltre alle pressioni climatiche, anche altri fattori come le nuove necessità produttive agroalimentari, l'innovazione tecnologica, la gestione del turismo hanno impatto diretto sui sistemi e processi ecologici. La comprensione della mutevolezza di questi fattori e l’influenza nella qualità dello spazio e del paesaggio richiede un approccio integrale al progetto in grado di rispondere all'elevato grado di incertezza e cambiamento dei fattori. La ricerca si concentra sul progetto delle infrastrutture intese come nuovi apparati complessi: organismi ibridi, nuove tecno-nature in grado di costruire reti connettive tra blue e green network includendo tecnologie digitali e risorse ambientali. Una nuova generazione di connessioni, che ingloba artificiale e naturale, tangibile e intangibile, umano e non umano andando ad incidere sui molteplici livelli di complessità della teoria del design integrale. AMBIENTI MEDIALI intende comporre una descrizione e un meta-progetto per la fascia costiera veneta e porsi come strategia orientativa per un possibile futuro del territorio in esame. La ricerca si avvarrà dei dati quantitativi provenienti dagli enti operativi sul territorio (in particolare il settore agroambiente della Regione Veneto, avepa, CNR, Ocean Space), i portali informatici e dati satellitari e provenienti da indagini dirette sul campo tramite interviste e rilievi. I dati verranno localizzati ed incrociati al fine di ottenere mappature multiscalari e multidimensionali con il fine di ottenere nuove possibili narrazioni del territorio e delle dinamiche coinvolte indagando in prima istanza la scala territoriale (geografica e culturale) per passare al sistema insediativo (architetture e infrastrutture).  Il metodo comprenderà inoltre anche la ricerca di progetti e processi analoghi attivi in altri luoghi comparando modalità di sviluppo e conseguenze sul territorio in termini morfologici e culturali.

 

 

2020-2021

 

Marco Capponi

Manfredo Tafuri e l’operaismo. Fonti, parole, voci

La ricerca, iniziata da un’analisi filologica delle riedizioni italiane di Teorie e storia dell’architettura di Manfredo Tafuri (1968-1980, con riedizione nel 1986), mirava a capire se e come negli anni 1968-73 il nuovo compito della storia dell’architettura – dal 1969 inteso in termini di critica dell’ideologia architettonica – si fosse esplicato in rapporto all’attività didattica svolta presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia.

La ricerca si è inizialmente avvalsa dei risultati conseguiti nell’ambito del Progetto Tafuri, per poi procedere con una verifica e integrazione della bibliografia tafuriana a stampa e un’indagine nel materiale archivistico di natura amministrativa e didattica.

Sembra possibile affermare che l’attività di Manfredo Tafuri abbia avuto un principio e una fine nell’insegnamento. Un principio perché è innanzitutto attraverso l’attività didattica che, oltre a verificare le proprie costruzioni storiografiche, egli ha tentato di perseguire una de-istituzionalizzazione della storia, esperimento entrato in crisi a causa delle dinamiche innescate dall’università di massa e la moltiplicazione dei corsi. Una fine perché l’impegno civico e appassionato della giovinezza romana, nonché il progetto messo faticosamente per iscritto in Teorie e storia e al quale avrebbe creduto per tutta la vita, sarebbe infine sfociato nel corso di laurea in Storia e conservazione dei beni architettonici e ambientali, incentrato sulla storia dell’architettura e il restauro.

 

Elena Fava

Abitare l’abito, vestire lo spazio. L’approccio multimedia di Cinzia Ruggeri

Il progetto propone l’analisi del percorso progettuale di Cinzia Ruggeri (1942-2019), condotto su fonti archivistiche, mettendo in luce l’approccio multimedia della designer e le relazioni che a partire dagli anni Settanta ha intessuto con gli ambienti dell’avanguardia italiana.

L’arte come punto di partenza per la progettazione di moda e le sperimentazioni sull’abito come tappa della ricerca estesa a scala ambientale. Questo è in sintesi il percorso di Cinzia Ruggeri. L’artista-designer-stilista è tra i protagonisti del prêt-à-porter milanese nel momento del successo internazionale della moda italiana ed è ospite d’onore di numerose edizioni di Pitti Trend, la manifestazione talent scout del made in Italy. Le sue creazioni manifestano la propensione alla sperimentazione e il gusto per la ricerca tecnologica che investe materiali e struttura degli abiti. Le sue ricerche si estendono dall’abito all’ambiente, domestico e non, e attraversano teatro, musica e video.

La ricerca di Cinzia Ruggeri, ben nota tra gli addetti ai lavori, ha goduto di una fortuna critica limitata. La designer, citata nella letteratura di settore in particolare negli studi di moda, e molti dei suoi lavori, inclusi nelle rassegne allestite in tutto il mondo, di fatto non sono stati oggetto di studi approfonditi. Sorte questa che accomuna altre figure di primo ordine del progetto di moda, come Giorgio Correggiari, espressione come lei di un made in Italy fortemente orientato agli sconfinamenti disciplinari e alle sperimentazioni su materiali e forme.

Il progetto costituisce dunque l’occasione per studiare, per la prima volta in modo sistematico, l’attività di una eccentrica professionista italiana che ha saputo costruire un modo personale e molto femminile di affrontare il progetto.

Dopo la scomparsa della designer nel novembre scorso, la Galleria Federico Vavassori di Milano, in accordo con gli eredi, ha assunto temporaneamente la gestione dell’archivio Cinzia Ruggeri. In questo senso, condurre la ricerca su fonti primarie, oltre a essere garanzia di rigore metodologico, significa riattivare poetiche e narrative veicolate dall’archivio che è insieme strumento per preservare la memoria di un brand o di un designer e luogo di costruzione degli immaginari.

 

Cecilia Rostagni

Architettura e “made in Italy”: il caso della Società Generale Immobiliare

Diventata famosa come l’artefice dei «sacchi urbani» di Roma degli anni Cinquanta e Sessanta, la Società Generale Immobiliare (Sgi) è stata tra i principali protagonisti delle trasformazioni urbanistiche e architettoniche delle città italiane nel secondo dopoguerra. In questi anni, dopo essere passata sotto il controllo della finanza vaticana, la società, nata nel 1862 a Torino, si trasforma in una holding immobiliare, promotrice di interventi urbanistici ed edilizi secondo innovative linee di intervento. Una nuova “filosofia imprenditoriale” guida, infatti, questa fase dell’Immobiliare, basata sull’applicazione dei principi di organizzazione industriale al settore edilizio e sulla progressiva razionalizzazione delle sue attività. Ciò le consente di affermarsi nel mercato come azienda leader, capace di portare a compimento realizzazioni complesse sia sul piano della costruzione che su quello del rapporto tra manufatto e organizzazione sociale di riferimento, servendosi spesso anche di qualificati professionisti esterni.

Accanto ad importanti interventi nel territorio italiano, alla fine degli anni Cinquanta l’Immobiliare estende le proprie iniziative anche all’estero, per “esportare” attraverso complicate operazioni finanziarie e organizzative, la cultura, il gusto e l’architettura italiana.

Obiettivo della ricerca è verificare, attraverso il caso della Società Generale Immobiliare, l'esistenza di un sistema di produzione dell'architettura “made in Italy” che possa rivelarsi ancora aggiornato e adattabile.

 

Daniela Ruggeri

Centri al margine: proposte per valorizzare i centri storici minori del Veneto

Il Veneto è una regione con una cospicua quantità di centri storici di piccola e media dimensione, un patrimonio storico culturale unico, che tuttavia in alcune aree, lontane dalle grandi città e periferiche rispetto alla pianura centrale, rischia il decadimento.

In un territorio fortemente connotato da quel “processo di lunga durata” di dispersione urbana, mentre i centri storici principali sono divenuti complementari agli insediamenti lineari e a quelli puntuali sparsi, non tutti i centri storici minori sono riusciti a ricollocarsi nelle dinamiche di trasformazione. Si tratta di centri prevalentemente in contrazione, dove i cuori antichi si stanno “spegnendo”, causando sottoutilizzo e abbandono di spazi, manufatti edilizi e infrastrutturali. In questo contesto, uno studio sui centri storici presuppone un cambio di prospettiva; La ricerca intende rinnovare l’attenzione sulla cultura progettuale dei centri storici, sperimentando nuove metodologie nel caso specifico dei centri minori Veneti. L’obiettivo principale è la valorizzazione e la riqualificazione sostenibile dei nuclei antichi a partire dal riuso del patrimonio dismesso.

Un simile progetto di ricerca necessita di un approccio integrale, aperto alle esigenze del contemporaneo, capace di superare posizioni conservazioniste. Un approccio inter-scalare e multi temporale, in grado di leggere e proiettare al futuro le relazioni spaziali, culturali, economiche del passato e del presente tra il “core” e il contesto territoriale.

La ricerca è orientata all’individuazione di specifiche criticità, la conseguente strutturazione delle stesse come base di nuove strategie progettuali per attivare e mantenere vivo il cuore della città.

 

Stefano Tornieri

Form Follows Fish. Nuovi paesaggi configurati della produzione ittica

Il consumo globale di alimenti di origine animale continuerà ad aumentare seguendo la crescita della popolazione (9 miliardi stimati nel 2050) e l’aumento dei consumi pro-capite. Mentre il consumo della carne è in diminuzione (-7% in 10 anni) la richiesta di pesce, prodotto tramite pesca e allevamento, è in aumento del +33% in dieci anni (FAO). A fronte di questa situazione i sistemi produttivi ittici come l’acquacoltura e la pesca, dovranno rispondere in maniera sostenibile senza danneggiare gli ecosistemi marini e costieri in cui sono inseriti costruendo nuove relazioni e nuovi immaginari tra terra e acqua.   Attraverso lo studio morfologico la ricerca indaga la relazione tra la filiera della produzione ittica e gli ecosistemi naturali direttamente connessi, sia marini che costieri, rilevando le criticità ambientali, paesaggistiche, culturali, nonché i cambiamenti in atto dovuti principalmente all’apporto delle innovazioni digitali.  L’attenzione è rivolta al territorio veneto con particolare attenzione alla fascia costiera considerata per la sua rilevanza in termini di varietà ecosistemica e di significato come ambiente mediale, nonché per la presenza di realtà produttive della filiera ittica che costituiscono un comparto significativo per l’economia regionale e nazionale. Si vogliono esaminare quindi le possibilità progettuali, gli indirizzi operativi, le scelte organizzative ed estetiche nonché questioni di natura culturale legate alla percezione del Made in Italy sull’asse tematico produzione ittica-cibo-natura lavorando su casi specifici individuati sul territorio.

 

Massimo Triches

TRACKING THE LANDSCAPE. Scenari e strategie per la cura attiva del paesaggio e delle comunità attraverso l’azione dell’abitare

Tracking the landscape intende affrontare la questione della cura del paesaggio e di chi lo abita a partire dalla fruizione attiva del paesaggio stesso – dalla sua accessibilità, percorribilità e abitabilità – approfondendo le tematiche e i nuovi paradigmi progettuali propri dell’Active Design e delle reti per la mobilità sostenibile.

“Tracking” significa “seguire”. Seguire il paesaggio come capacità di leggere la morfologia, le specificità e le fragilità di un territorio; di valutare le sue qualità e le sue criticità ambientali; di riconosce i valori sistemici e i patrimoni locali; di saperne assecondare e indirizzare lo sviluppo e le possibili trasformazioni future. Seguire il paesaggio cioè percorrerlo, fruirlo attivamente, abitarlo, favorendo così la cura reciproca tra il territorio e le comunità. Il termine “tracking” significa anche “tracciare”. Lasciare traccia DEL paesaggio, dunque descriverlo attraverso mappe e cartografie specifiche, attraverso diverse forme di rappresentazione audiovisive, attraverso nuove metodologie, strumenti e narrazioni. Lasciare traccia NEL paesaggio, saperlo cioè interpretare, modificare e abitare con la consapevolezza che ogni azione antropica ne altera, in maniera più o meno duratura, gli equilibri e le dinamiche. Infine con “tracking” si intende anche “monitorare”. Un’azione necessaria che richiede l’osservazione costante nel tempo, una raccolta di dati, informazioni, testimonianze, esperienze alla base di una manutenzione attiva e sostenibile dei territori che coinvolge enti, strumenti, metodologie e scale differenti.

La ricerca dunque, attraverso l’osservazione, la mappatura ed il confronto di diverse infrastrutture per la mobilità sostenibile, intende verificare come l’Active Design possa introdurre nuovi metodi di analisi e nuovi paradigmi progettuali rispetto alle tematiche quali la tutela, la trasformazione e la valorizzazione del territorio, la qualità ambientale, la salute individuale e collettiva.

 

 

2019-2020

 

Andrea Ambroso

Neoruralismo - Nuovi sistemi agroalimentari territorializzati

Il fenomeno del neoruralismo non è solo un semplice ritorno alla terra, ma esprime un profondo cambiamento di territorialità, una trasformazione essenziale delle relazioni dell’individuo con il suo ambiente biosociale. La trasformazione si manifesta fondamentalmente attraverso una nuova concezione e una rinnovata consapevolezza del lavoro, dell’identità legata al territorio e di nuovi atteggiamenti, con comportamenti e valori che reclamano una nuova forma di "curare la terra". Il riemergere dell’importanza dell’attività primaria come questione territoriale diventa centrale nella storia nel tardo urbanesimo post-fordista e post-metropolitano: il territorio rurale ritorna a essere soggetto vivo e attivo, ed esprime risorse interne proprie del luogo, fonte di quella ricchezza che un nuovo progetto paesaggistico-culturale può ridefinire. L’auto-produzione e la coltivazione della terra, sia in forma diretta che condivisa, sono un passo fondamentale verso un nuovo rapporto con il territorio e verso una nuova etica di produzione e distribuzione del cibo. In questo frangente anche i luoghi della dispersione e dell’abbandono, con la loro ruralità latente, possono diventare un fertile bacino di possibilità di sperimentazione e radicalizzazione di nuovi stili di vita. L’agricoltura diventa, ancora una volta, uno strumento essenziale nella formazione e costruzione della città, strumento di critica profonda dell’ordine economico, sociale e politico che la governa.

 

Elena Fava

Dal filo allo spazio. Il network progettuale del Centro Design Montefibre di Milano

In continuità con la ricerca avviata lo scorso anno, il progetto propone l’analisi dell’esperienza del Centro Design Montefibre di Milano, mettendo in luce il network progettuale attivato nelle fasi di ideazione e di comunicazione dei servizi dedicati all’impiego delle fibre man made prodotte dal colosso italiano della chimica Montedison. La dimensione corale della progettazione non oscura i nomi dei numerosi collaboratori, indicati nei prodotti distribuiti dal centro di ricerca sul tessile e nelle pubblicazioni di settore, ma rimane prevalente. Inoltre, in ogni passaggio della filiera progettuale è precisata l’identità dei materiali creati in laboratorio e le possibili applicazioni, dal filo all’abito all’ambiente. La ricerca offre l’opportunità di indagare le specificità del tessile-abbigliamento e della moda italiana, del suo modello ideativo e produttivo, nel dialogo virtuoso che intrecciano con la cultura del design in rapporto al contesto nazionale e internazionale. Per la funzione di catalizzatore delle personalità di punta nel panorama progettuale dell’epoca, il Centro Design Montefibre si configura come una piattaforma per restituire la memoria delle culture del progetto declinate negli ambiti della moda e del design, applicate nello specifico alle tecnofibre, e per strutturare la consapevolezza di una ricerca capace di coniugare esperienza e innovazione, tradizione e sperimentazione, heritage e progetto.

 

Cecilia Rostagni

Fantasia degli italiani: il “made in Italy” secondo Gio Ponti

Negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, con l’approvazione del piano Marshall, gli scambi transatlantici diventano sempre più intensi, e in America si diffonde un nuovo interesse per l’Italia e per tutto ciò che viene “prodotto in Italia”. Gio Ponti, in particolare, viene riconosciuto come l’emblema della “rinascita” italiana, e l’“inventore” stesso del “made in ltaly”. Ma se è in questa fase che Ponti riesce nell’intento di affermare il prestigio spirituale e artistico dell’Italia oltreoceano (oltre che il proprio), è negli anni tra le due guerre che egli pone le basi di tale successo, quando, dedicandosi ai più diversi ambiti creativi e organizzativi, dall'architettura alle arti applicate, alle mostre, all’editoria, egli diventa il principale “animatore” del progetto italiano. È infatti attraverso le esposizioni, le Triennali in particolare, le fiere, e le riviste (“Domus”, “Stile”, “Bellezza”, “Aria d’Italia”), e gli infiniti intrecci e scambi che esse promuovono, che si costruisce quello che è stato definito il “sistema” del design italiano, e che si può riconoscere come premessa del “made in ltaly”. A partire dalla figura di Ponti, e dal suo ruolo, la ricerca intende dunque indagare quali siano stati i momenti, le iniziative, le esposizioni, gli interventi che hanno contribuito a trasformare la ricerca di uno “stile”, di una “qualità”, di una “unicità” italiana in “made in ltaly”, ovvero ricostruire un momento significativo della storia italiana, interrogando oggetti, pubblicazioni, progettisti, artisti, artigiani, istituzioni e industrie che a questa trasformazione hanno partecipato.

 

Daniela Ruggeri

Quale futuro per i centri storici italiani [Veneto beta test]

Monitorare, con un approccio inter-scalare e integrale, lo stato di salute delle città storiche del Veneto di piccola e media dimensione, intendendo non solamente lo stato fisico della città antica ma anche quello della sua vitalità, è uno degli obiettivi principali di questa ricerca.

Il paesaggio Veneto è contraddistinto da una costellazione di centri storici – polarità che si alternano a una trama urbana diffusa –, i quali nel corso dei secoli hanno intrecciato relazioni sia reciproche che con il territorio di pertinenza, generando “micro regioni storiche e complesse”. In un territorio in cui oggi prevale il modello di vita della città diffusa, i centri storici hanno mantenuto il loro valore simbolico ma, non contenendo più “la città tutta”, hanno perso vitalità e generato progressivamente patrimonio edilizio e infrastrutturale sottoutilizzato o dismesso, mutando il paesaggio storico urbano. Eppure i centri storici possono ancora offrire uno standard di vita qualitativo e sostenibile: la bellezza della città storica, l’articolazione degli spazi “a misura di uomo” che permette la circolazione al suo interno senza auto, la vicinanza tra servizi e residenze, sono alcuni esempi.

La ricerca intende dunque - studiare come il potenziale dei centri storici minori del Veneto – che necessita di essere riconsiderato all’interno di una cornice territoriale – può essere attivato e offrire una buona qualità della vita; - investigare strategie possibili per una manutenzione integrale dell’organismo urbano e del sistema territoriale di riferimento – ossia l’insieme di beni storici, città e paesaggio –, superando logiche meramente conservative e aprendo all’indagine del nuovo intervento nell’antico.

 

Stefano Tornieri

BRANDING NATURE - morfologie, narrative, immaginari della rinaturalizzazione

Nell’era dell’Antropocene, di fronte agli evidenti effetti del cambiamento climatico, si assiste ad una graduale riconsiderazione del valore della natura intesa come realtà spaziale plurima: metaforica e reale, di relazioni ecologiche e sociali, di esperienza di interazione, di benessere, creatività, produzione di valore e di bellezza estetica. La ricerca intende rivolgersi al concetto di natura come medium ambientale integrale, in grado cioè di collocarsi sia come potente strumento comunicativo nella costruzione degli odierni “brand territoriali” sia come fattore morfologico/infrastrutturale per il futuro dei territori. Il focus tematico sarà rivolto ai progetti e ai processi di rinaturalizzazione in atto negli ambienti di foce e delta fluviali, con ulteriore grado di approfondimento relativo ai margini esterni del Delta del Po e altri delta europei. L’obiettivo primario è analizzare criticamente i processi di conservazione e rinaturalizzazione nei delta mediterranei mettendo in luce gli obiettivi in termini di attrattività, incremento dei servizi ecosistemici ed implicazioni morfologiche ad essi correlati.

 

Massimo Triches

SHARING CITIES: lo spazio abitato come misura del brand urbano

Negli ultimi decenni i processi di trasformazione delle città stanno affrontando sempre più direttamente questioni connesse alla qualità ambientale, alla gestione energetica e delle risorse, alla mobilità sostenibile, alla salute e al benessere degli abitanti. Nel progetto urbano contemporaneo termini come welfare e wel/being definiscono i punti focali attorno ai quali si sviluppa un articolato dibattito interdisciplinare che si è progressivamente arricchito di nuovi concetti quali smart city, participatory design, healthy cities, ecologica/urbanism, shared mobility, sharing cities, ecc. Tali vocaboli vengono spesso utilizzati al fine di promuovere pratiche e politiche di trasformazione delle città, assurgendo a garanti di determinati standard qualitativi e divenendo dunque brand urbani. Tuttavia non è sempre evidente la relazione diretta tra tali concetti e la configurazione degli spazi che compongono la città, in particolare dei suoi ambiti della condivisione. Contemporaneamente si stanno diffondendo nuove pratiche dell’abitare condiviso: cohousing, co-working, car-sharing, ecc. che stanno modificando i modelli e i paradigmi progettuali e che stanno riconfigurando l’abitare come azione primaria della cura dell’ambiente e delle città. La ricerca dunque, attraverso l’osservazione e il confronto dei luoghi della condivisione e dell’abitare condiviso, vuole analizzare criticamente le pratiche, le politiche e i progetti di trasformazione urbana che affrontano le tematiche della qualità ambientale, della salute individuale e collettiva, e della vivibilità delle città.

 

 

2018 - 2019

 

Cecilia Rostagni

Gio Ponti e l’invenzione del “made in Italy”

Innamorato dell’Italia e della sua civiltà, Gio Ponti è stato per anni l’animatore del progetto italiano, tanto da diventare noto come l’inventore stesso del “made in Italy”. La sua fama esplode nel dopoguerra, quando oltre che direttore della rivista «Domus», Ponti realizza alcuni oggetti culto dell’architettura e del design italiano. Ma se è in questa fase che Ponti riesce nell’intento di riaffermare il prestigio spirituale e artistico dell’Italia nel mondo, è negli anni tra le due guerre che egli pone le basi di tale successo, quando, dedicandosi ai più diversi ambiti creativi, egli si interroga sull’esistenza di uno “stile” italiano moderno. L’analisi e lo studio dei temi affrontati da Ponti nelle riviste da lui fondate e dirette mi ha permesso di mettere in luce l’importanza che egli attribuisce sin da questo momento alla definizione di uno “stile” italiano e alla sua diffusione. Ciò che invece non è stato ancora sufficientemente analizzato è come tale idea di italianità emerga nella grande quantità di progetti e realizzazioni di Ponti di questi stessi anni. La recente apertura alla consultazione delle diverse sezioni che compongono l’archivio di Gio Ponti suggerisce la necessità di avviare nuove ricerche, onde iniziare a intrecciare i diversi fili che compongono il suo progetto culturale. Attraverso l’analisi della documentazione grafica, iconografica e documentaria di architetture, oggetti, costumi e stoffe, l’obiettivo è dunque quello di ricostruire le origini dell’idea pontiana di “made in Italy”.

 

Elena Fava

Il Centro Design Montefibre: piattaforma creativa della cultura italiana del progetto

Il progetto prevede l’individuazione, il censimento e l’analisi delle fonti disponibili su scala nazionale ed eventualmente internazionale per ricostruire le vicende del Centro Design Montefibre e l’articolazione nei settori moda-abbigliamento e casa-arredamento.

Le azioni proposte rappresentano un’opportunità per indagare le specificità del tessile-abbigliamento e della moda italiana, del suo modello ideativo e produttivo, nel dialogo virtuoso che intrecciano con la cultura del design in rapporto a un contesto internazionale. Per la funzione di catalizzatore delle personalità di punta nel panorama progettuale dell’epoca, il Centro Design Montefibre si configura come una piattaforma per restituire la memoria della cultura del progetto declinata negli ambiti della moda e del design, applicati nello specifico alle tecnofibre, e per strutturare la consapevolezza di una ricerca capace di coniugare esperienza e innovazione, tradizione e sperimentazione, Heritage e Progetto.

 

Stefano Tornieri

LAND-SHAPE. La forma del suolo tra tutela e progettualità

La ricerca proposta riguarda il legame tra la morfologia del territorio e la capacità strutturante che le relazioni tra gli elementi del paesaggio sono in grado di produrre. In alcuni territori specifici, come i paesaggi produttivi o estrattivi che per varie ragioni si collocano in aree “marginali”, si creano particolari condizioni di interdipendenza tra le risorse ambientali e le azioni antropiche in grado di far emergere una qualità strutturante delle relazioni tra le parti stesse. Tuttavia tale specificità non viene presa in considerazione dall’attuale sistema normativo che governa e orienta le trasformazioni del territorio con il rischio sempre più prossimo che nuove necessità infrastrutturali, problematiche ambientali e logiche di mercato non riescano ad interpretare, con la dovuta profondità, memorie, culture, identità, potenzialità e valori del paesaggio. Tramite lo studio e la comparazione della forma fisica del suolo di luoghi specifici (considerandone anche la loro evoluzione) si vuole riconoscere la capacità della forma delle relazioni di rispondere alle necessità attuali, che comprendono un’ampia gamma di questioni come la sostenibilità energetica, la fruizione turistica, i modi di abitare e di percepire un territorio. L’obiettivo primario è operare un cambio di paradigma dell’idea di progetto non più legata ad una condizione di autonomia ma che si apre ad una visione integrata con le discipline che si affiancano all’architettura e che in egual modo rientrano nella dimensione trasformativa dei luoghi.

 

Francesco Zucconi

Ambienti mediali, architetture filmiche e memorie del confine.
Per una geografia del cinema italiano

Questo progetto costituisce l’ultima fase di un lavoro pluriennale, dedicato allo studio della “geografia fisica” e della “geografia politica” nel cinema italiano, avviato con la redazione della voce “Geografia” per il Lessico del cinema italiano (2014) e proseguito presso l’Università di Harvard (Spring 2018).

Sulla base di tale impianto, il progetto Ambienti mediali, architetture filmiche e memorie del confine. Per una geografia del cinema italiano intende indagare le rappresentazioni filmiche di due aree specifiche del Paese:

1) Il Delta del Po in quanto area privilegiata per riflettere sui limiti stessi dell’idea di “geografia fisica”,

evidenziando le forme di interazione tra l’uomo e l’ambiente.

2) Il confine orientale come territorio esemplare per indagare le trasformazioni dell’idea di frontiera all’interno della cultura italiana.

Il progetto assume le opere filmiche in quanto corpus d’indagine. Parlare di “ambienti mediali” significa infatti analizzare la capacità del cinema di contribuire alla costruzione del paesaggio italiano e non soltanto di offrirne una rappresentazione indiretta. Allo stesso tempo, ricorrendo all’espressione “architetture filmiche”, si mette in rilievo il fatto che la storia del cinema italiano costituisce uno sterminato archivio progettuale in buona parte inesplorato. In che misura, dunque, le memoria audiovisiva di spazi marginali del Paese può essere rielaborata e riattivata nel laboratorio scientifico, artistico e produttivo contemporaneo?

 

Jacopo Galli

Strategie di Ricostruzione per la MENA Region

La ricerca Strategie di Ricostruzione per la MENA Region intercetta diversi temi di ricerca portati avanti negli ultimi anni allo Iuav: il ruolo della città storica come modello e motore dello sviluppo futuro, l’importanza dell’heritage come elemento urbano e sociale alle diverse scale di progetto, la cura delle risorse e la ricerca di uno sviluppo sostenibile.

Le condizioni attuali dei territori colpiti da conflitti nell’area vasta del Mediterraneo richiedono strategie e strumenti innovativi capaci di indirizzare chiaramente lo sviluppo futuro a partire dalle importantissime pre-esistenze storiche e dalla ricomposizione di un modello di convivenza sociale, culturale ed economica; oggi irrimediabilmente distrutto.

La ricerca verrà portata avanti tramite un dialogo proficuo con le istituzioni internazionali operanti sul campo con cui lo Iuav ha già avviato rapporti di collaborazione e consulenza scientifica: UN-ESCWA United Nation Economic and Social Commission for Western Asia, World Bank, Aga Khan Trust for Culture, etc.

 

 

 

contatti 

 

t. +39 041 257 1540

pride.iride@iuav.it

 

infrastruttura.iride@iuav.it