Undergraduate and graduate programmes offered by the University iuav of Venice:

João De Magalhães Rocha

 

professore associato

Universidade de Evora Departamento de Arquitectura, Portogallo

titolo del progetto: Paesaggi trasformati. Archeologia e fotografia: uno sguardo italiano

responsabile scientifico: Marco Ferrari

permanenza: marzo–giugno 2022

curriculum vitae >>

 

 

Le seul véritable voyage, (...) ce ne serait pas d´aller vers

de nouveaux paysages, mais d´avoir d'autres yeux.

(Marcel Proust, A la recherche du temps perdu, tome 5, La Prisonnière)

 

 

Come ci ha insegnato Claude Raffestin, la nozione di paesaggio si lega indissolubilmente a un’idea di perdita e di assenza, all’idea di un territorio perfetto che vive nel desiderio, in un’immagine, non necessariamente reale, ma colma di pensiero.

Tutto ciò è ancor più vero per i paesaggi dell’archeologia, dove perdite e assenze non sono solo “spirituali”, ma anche concretamente materiali. Se poi si ricorda che per Barthes l’immagine fotografica “tiene racchiusa nella sua particolarità l’immagine della Storia” è chiaro come il rapporto tra paesaggi dell’archeologia e fotografia sia reciprocamente fertile e, oltremodo, necessario.

Da quando, nella seconda metà del XIX secolo, il “veneziano” Antonio Beato immortalava le solitarie presenze delle antiche civiltà faraoniche a Luxor o al Cairo, Michele Mang ritraeva scorci bucolici della via Appia e i fratelli Alinari i monumentali ruderi di villa Adriana o dei Fori imperiali di Roma, a quando, all’inizio degli anni 2000, Claudio Sabadino (fotografo non a caso con formazione d’architetto) dà inizio al suo lavoro di ricognizione su Pompei, non solo sono profondamente cambiate le aree archeologiche e i luoghi che le accolgono, ma è anche radicalmente mutato il modo di guardare a tutto ciò ed il senso che gli si attribuisce.

Si è passati cioè da una rappresentazione di tipo “reportistico”, a una fotografia di suggestione, spesso rivolta a sostenere la fruizione turistica (per il Belpaese si pensi alla rivista Le vie d’Italia, edita del Touring Club  tra il 1917 e il 1968 e che ha visto la partecipazione di giovani fotografi, solo più tardi diventati noti ad un pubblico più vasto, come Gianni Barengo Gardin o Mimmo Castellano), per arrivare, attraverso una forma di “documentazione orientata”, alla denuncia delle contraddizioni insite nella progressiva aggressione della città contemporanea ai luoghi della memoria, ma anche al tentativo di svelare nuove possibili categorie estetiche generate proprio dall’interazione tra tempi diversi della Storia.

 

A partire da queste premesse, la ricerca - che si svolgerà anche con indagini presso specifici archivi - vuole essenzialmente interrogarsi sui seguenti punti:

1) in quali modi l’avvento e lo sviluppo della fotografia ha prodotto una nuova rappresentazione (etimologicamente una ri–presentazione) dei paesaggi dell’archeologia?

2) esiste una “via italiana” a tale ri-presentazione?