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Vesper No. 4 | Esili e esodi | Primavera-estate 2021

 

 

Dario Cecchi

Montaggi di esodo. L’immagine tra tensioni etiche e direzioni politiche

 

Esodo ed esilio possono essere a buon diritto considerati come vere e proprie figure moderne del politico. Se l’esodo, seguendo il modello biblico, rimanda all’idea di emancipazione, l’esilio rinvia invece all’idea di un possibile rimpatrio, ovvero di un espatrio senza ritorno.

Guardando alla tradizione filosofico-politica novecentesca, le due categorie appaiono intrecciate e sovrapposte, rimandando alla questione della rifondazione o nuova fondazione di uno spazio pubblico in cui le istanze di libertà e giustizia siano formulate secondo schemi inediti. È a Benjamin che dobbiamo in particolare la messa a punto dell’idea secondo cui è possibile ricondurre la politica alla sua “immagine dialettica”. È ad Hannah Arendt che va il merito di aver ripensato l’attore politico nei termini di un narratore, il quale esibisce un giudizio esemplare sui fatti di cui ella o egli è partecipe in prima persona. Se la figura dell’esodo, dunque, apre un orizzonte virtualmente infinito di libertà nello spazio pubblico, la figura dell’esilio interviene a indicare nel singolo caso esemplare i confini della giustizia esigibile. Si tratta di un tema emerso con forza negli ultimi anni, in correlazione con la crisi migratoria e umanitaria, e che ha trovato molteplici riscontri nelle arti.

In tutti questi casi l’esiliato sembra proporsi come la figura di un “fantasma” del politico, il quale paradossalmente esiste solo nel futuro, in quanto negozia i termini del suo ritorno e riconfigura così lo spazio condiviso con gli altri. Sulla scia del paradigma dell’immagine intesa come “messa in riserva dei segni”, si potrebbe parlare della figura dell’esilio come di un operatore della violenza rimossa nella figura dell’esodo.

 

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