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Vesper No. 4 | Esili e esodi | Primavera-estate 2021

 

 

Renato Rizzi

Orfani

 

In un mondo che vuole essere sempre più interconnesso noi siamo sempre più soli. Sempre più abbandonati. Orfani, non dei corpi, ma dell’anima: universale-individuale.

Tra l’altro possediamo un termine così eloquente che riflette come uno specchio la struttura semantico-simbolica del nostro essere: Architettura. Arché, anima. Téchne, corpo.

Perdendo l’anima (delle cose) si perdono però le forze reali che plasmano le forme delle cose.

Ma il transito tra corpi e anima è rischioso e dispendioso. Orfeo, il grande orfano mitico, è l’immagine di quel viaggio che tutti noi dobbiamo fare e ripetere in ogni esistenza. Soprattutto l’architetto. Orfeo (il poeta, il produttore per eccellenza!!) innamorato di Euridice. L’architetto (dovrebbe essere) innamorato (con la stessa intensità) di Architettura. Anche noi dovremmo riuscire a smuovere e commuovere le montagne per farle morire dalla voglia di vedere le opere che creiamo (non quelle che produciamo).

Orfano-Orfeo: più dell’etimologia, vale l’armonia del suono della voce (la phoné delle parole).

E dov’è il “suono” che avvolge le nostre architetture orfane?

La nostra condizione di architetto non si separerà mai da quella dell’esule, dell’eretico, del rifugiato (nell’anima). Del proprio sacrificio… la garanzia che quando saremo morti potremo davvero vivere.

 

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