Vesper No. 3 | Nella selva | Autunno-inverno 2020
Annalisa
Metta
Pan
Nei miti, i mostri sono incontri sovrannaturali tra umano e selvatico.
Pan è tra più eloquenti, per l’aspetto aberrante e l’urlo che getta
nel timor panico. Uomo e capro, dio dell’arcadia e degli inferi, Pan è la
gioiosa ferocia della difformità e incarna mutazioni evolutive che infrangono i
limiti assegnati alle specie. Su di lui in età cristiana si modella
l’aspetto del demonio, monito che l’incontro con il selvatico è irresistibile
ma pericoloso. Pan è il re di una città che offusca ogni demarcazione tra
natura e civiltà: non ha rimorso di urbanità, né rimpianto di Eden; accoglie
tutte le manifestazioni del vivente e trova qualità nelle frizioni delle
compresenze. Il suo valore è in questa complessità, nell’intrecciarsi tra
proibito e trasgressione, in combinazioni imprendibili di processi ecologici e
sociali autopoietici, dove ci scopriamo a desiderare la sorpresa, il piacere,
la mescolanza, l’incertezza, l’alterità, la metamorfosi.
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