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Vesper No. 3 | Nella selva | Autunno-inverno 2020

 

 

Fabio Bozzato

Caracas, come non fosse mai stata là

 

Non c’è alcun realismo magico in America Latina. Tantomeno a Caracas. Raccontarla in chiaroscuro, ad esempio, non è un modo di dire: significa solo seguire il ritmo dei suoi black-out. Anche qui, come altrove, si dice “me importa un bledo”, ma il bledo qui cresceva davvero. La polvere di stelle è reale: copre la Urdaneta con una coltre untuosa, là dove un tempo palpitava la più chic delle capitali latine.

L’inconscio di Caracas è un enorme fiume, che da centinaia di chilometri di distanza proietta l’ombra dei suoi desideri. La sua coscienza, piuttosto sporca, è un altro fiume, quasi un rigagnolo, che la segna da ovest a est. La montagna che la domina è un riferimento rassicurante e una barriera ambigua.

Di giorno il cielo di Caracas è una festa di guacamayas, la notte una giostra di spari e cacerolazos. Caracas è un incubo e una meraviglia, un marchingegno selvatico e sofisticato. Mentre cammini ti puoi imbattere in un’opera d’arte cinetica. Mentre stai scappando dai lacrimogeni della polizia, può capitarti di incontrare due braccia dove rifugiarti per una notte.

 

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