2014-2015
Maria Teresa Sambin de Norcen, laureata e
addottorata a pieni voti in storia dell’architettura e
dell’urbanistica allo Iuav. Approfondendo le
ricerche svolte per la tesi di dottorato, ha pubblicato due monografie: Le
ville di Leonello d’Este. Ferrara e le sue campagne agli albori
dell’età moderna, introduzione di James Ackerman, Venezia, Marsilio
2012; Il cortigiano architetto. Edilizia, politica, umanesimo nel
Quattrocento ferrarese, Venezia, Iuav-Marsilio
2012, oltre a numerosi saggi. Ha prestato la sua attività di studio e
insegnamento presso numerose università italiane (Padova, Bologna, Ferrara, Iuav di Venezia). Grazie a un assegno di ricerca Iuav, ha potuto condurre la ricerca sfociata
nell’articolo New drawings by Sebastiano Serlio in Bologna, “The Burlington Magazine”,
july 2017. |
Il Rinascimento locale nell'Italia Nord-orientale 1450-1550 (ICAR/18)
responsabile scientifico: Richard Vaughan Schofield
Sempre più al
centro del dibattito storiografico è il tema del rinascimento locale, cioè
della declinazione che nel Quattrocento il nuovo linguaggio artistico e
architettonico, ispirato in diversa misura all’architettura antica,
assume a seconda dei differenti ambiti geografici. Il caso bolognese, forse uno
dei più significativi per la ricchezza della produzione architettonica diffusa
nella città, non era stato studiato fino alle recenti ricerche di Richard Schofield, che si è soffermato sul modo in cui la forma
tradizionale del palazzo porticato viene rinnovata con un repertorio
straordinario di capitelli all’antica. Ma il Quattrocento bolognese si
rivela particolarmente interessante anche perché la continuità di questo
percorso viene turbata, ad un certo momento, dalla presenza in città
(1453-1467) di Pagno di Lapo Portigiani, scultore e architetto fiorentino che
progetta per Sante Bentivoglio, cresciuto alla corte di Cosimo il vecchio de
Medici, un palazzo maestoso in strada San Donato, attuale via Zamboni. Il nodo
problematico della ricerca è stato individuato proprio nel palazzo dei Bentivoglio,
raso al suolo nel 1507, dopo la cacciata dei signori da Bologna, noto soltanto
grazie alle descrizioni dei cronisti dell’epoca. Ciò ha favorito una
lettura mitizzata, volta più a celebrare la grandezza e la ricchezza del
distrutto edificio che a vagliare criticamente le fonti a disposizione e a
cercarne di nuove. Ricorre in particolare, nella letteratura sul palazzo,
l’utilizzo di due piante settecentesche dell’edificio, la cui
attendibilità era già stata posta in dubbio da Francesca Bocchi, ma cui altri
autori hanno attribuito credito indiscusso, la cui analisi è stata dunque
approfondita.
La ricerca,
condotta in varie biblioteche di Bologna, Modena, Roma, ha portato
all’individuazione di un numero di esemplari della pianta maggiore
rispetto a quelli noti e alla loro corretta interpretazione come invenzione del
XVIII sec., conseguente a un riacceso interesse per le vicende della famiglia:
una ricostruzione di fantasia del palazzo, atta a soddisfare la curiosità dei
lettori dei manoscritti dell’Historia di
Bologna di Cherubino Ghirardacci, cui risulta di
frequente allegata. Essa, dunque, in nessun modo può essere utilizzata come
fonte per la nostra conoscenza dell’edificio.
A un’indagine
oggettiva delle fonti originali sembra che il modello del complesso
residenziale non sia da ricercare a Firenze, come spesso affermato dagli autori
che si sono occupati del palazzo, ma piuttosto nelle grandi regge signorili fra
Tre e Quattrocento, incentrate in maniera disorganica attorno a più cortili e
spazi aperti: la reggia carrarese di Padova, il complesso gonzaghesco di
Mantova, il palazzo ducale di Urbino e così via. L’influenza fiorentina
sul palazzo, piuttosto che nell’impianto planimetrico, sembra da
ricercarsi nei dettagli della decorazione architettonica, dato che dagli anni
Sessanta del Quattrocento si diffondono in città alcuni particolari,
soprattutto capitelli e fregi, di matrice toscana, la cui influenza va
velocemente scemando dopo la cacciata dei Bentivoglio da Bologna.
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