Venezia, 9 maggio 2012

 

 

WITTGENSTEIN ARCHITETTO

Quando fra le pieghe della storia si scopre che uno dei più grandi filosofi del Secolo breve è stato anche un eclettico architetto.

Una mostra allo spazio Gino Valle presso la sede Iuav all’ex Cotonificio di Santa Marta racconta una pagina ancora non letta della storia dell’architettura.

 

"Reconstructing Wittgenstein",

Cotonificio, sala Gino Valle

10 – 31 maggio

da lunedì a venerdì ore 9–19

inaugurazione della mostra:

giovedì 10 maggio, ore 18

 

ore 17: Reconstructing Wittgenstein. Architecture, Structure, Collage

conferenza di  August Sarnitz

cotonificio, aula Gradoni

 

mostra a cura di August Sarnitz

edizione italiana a cura di Francesco Amendolagine e Daniele Pisani

con la collaborazione di Alessandra Dal Mos, Francesca Dell’Aglio e Alessandra Dal Mos

 

Presso la sala Gino Valle del Cotonificio, tra il 10 e il 31 maggio è visitabile la mostra "Reconstructing Wittgenstein", curata da August Sarnitz e adattata e ampliata per l'occasione da Francesco Amendolagine e Daniele Pisani.

La mostra è focalizzata sulla casa che il grande filosofo Ludwig Wittgenstein progettò e costruì a Vienna tra il 1926 e il 1928 per sua sorella Margaret. A un vasto materiale sui due protagonisti della vicenda, il filosofo e la sorella, si accompagnano i disegni della casa, una serie di fotografie del suo stato attuale e alcune tavole esplicative messe a punto per la mostra veneziana. L'obiettivo della mostra è di provare a gettare luce su un'opera ormai piuttosto nota ma difficile da inquadrare, che del resto costituisce il grande sforzo compiuto in campo architettonico da parte di una delle grandi figure della cultura del secolo XX.

 

Pubblicato il Tractatus logico-philosophicus (1921), con il quale è convinto «d’aver definitivamente risolto nell’essenziale i problemi» della filosofia, Ludwig Wittgenstein si dedica all’insegnamento alle elementari e, conclusasi traumaticamente tale esperienza, lavora come giardiniere in un convento.

 

È in questo momento – l’estate del 1926 – che la sorella Margaret lo coinvolge nella progettazione della abitazione a Vienna. Wittgenstein interviene in un primo momento per offrire una semplice consulenza all’architetto incaricato, l’amico Paul Engelmann (già allievo di Adolf Loos e collaboratore di Karl Kraus); ben presto inizia però a imprimere la propria impronta al progetto, sino ad appropriarsene del tutto: «fu lui il vero architetto, non io», affermerà Engelmann, al punto che «considero il risultato un frutto del suo ingegno, non del mio»; Wittgenstein, dal canto suo, parlerà sempre della casa come della «mia casa»; ed Hermine, la sorella maggiore del filosofo, spiegherà come questi «si interessò, intensamente alla sua maniera, dei progetti, incominciò a modificarli e si dedicò sempre più alla progettazione finché alla fine la ebbe completamente in mano».

Per due anni, in effetti, Wittgenstein si dedica interamente alla progettazione della casa e quindi a seguirne quotidianamente in cantiere l’avanzamento dei lavori; solo a costruzione ultimata, nel 1929, farà ritorno a Cambridge e all’insegnamento della filosofia.

A partire dagli anni settanta, quando è stata riscoperta, la casa è stata oggetto di più di un’analisi. Troppo spesso è però stata sottoposta a miopi letture disciplinari o è stata interpretata come un puro epifenomeno della filosofia del suo autore. È invece assai più proficuo interrogare la casa nel suo specifico: ossia come un’architettura realizzata da un filosofo che sta sottoponendo a critica le convinzioni espresse in uno dei testi più ostici e importanti della filosofia del XX secolo quale il Tractatus; come un’architettura che di questi ripensamenti non può che risentire, poiché – ebbe a dire Wittgenstein – «quando costruiamo case, parliamo e scriviamo»; ma pur sempre come un’architettura, e non come la traduzione in termini architettonici di problemi filosofici.

 

Come architettura, d’altro canto, la casa che Ludwig Wittgenstein progetta per Margaret pone senza dubbio più di un problema interpretativo. Al di là delle apparenze superficiali, in particolare, la casa è l’opera di un pensatore che nel 1930 si dichiara convinto oppositore della «grande corrente della cultura europea e americana», il cui «spirito», precisa, «si esprime nell’industria, la musica, l’architettura, il fascismo e il socialismo del nostro tempo», prima di aggiungere: «non che egli creda che quanto oggi si spaccia per architettura sia architettura».

 

La casa, in altri termini, si discosta programmaticamente dalla grande «corrente» costituita, agli occhi di Wittgenstein, dal cosiddetto “modernismo”. Si discosta perché non le interessa prendervi parte, e si discosta ancor più perché è mossa da intenzioni e sulla base di categorie profondamente diverse.

Detto ciò che la casa non è, resta da dire, o meglio da mostrare, ciò che essa vuole essere e che è. E per far questo – vero e proprio intento di questa mostra – non c’è modo migliore che far proprio un suggerimento offerto dal filosofo stesso: «Quelli che continuano a domandare “perché” – osserva Wittgenstein nel 1941 – sono come i turisti che davanti a un monumento leggono il Baedeker – e proprio la lettura della storia della sua origine, ecc., ecc., impedisce loro di vedere il monumento».

 

 

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