Venezia,
7 luglio 2010
COMUNICATO STAMPA
IUAV: VITALIANO TREVISAN AI WORKSHOP DI ARCHITETTURA
«THE SUBLIME VERTIGO»
9 luglio ore 10.00
aula O1 (ex cotonificio di Santa Marta)
All’interno del workshop
di Flavio Albanese intitolato «The sublime vertigo»,
è in programma venerdì 9 luglio la conferenza «Contraffazione
semantica, manipolazione dei significati e azioni di de-offuscamento della
visione»
con Vitaliano Trevisan in cattedra.
La conferenza si inserisce nell’ambito
del laboratorio dedicato alle Dolomiti tenuto da Albanese, di cui alleghiamo
programma e suggestioni.
Flavio Albanese
(Vicenza 1951). Architetto autodidatta, designer, collezionista d’arte
contemporanea, ha costruito la sua professionalità attraverso una formazione
estranea ai percorsi accademici.
Nel 1987 ha fondato lo studio di
architettura ASA Studioalbanese con
sede a Vicenza e Milano.
Studioalbanese
viene selezionato con il progetto Neores
nell’edizione 2003 del Mies van
der Rohe Award. Nel 2004 e
nel 2006 lo studio è presente alla Biennale di Architettura di Venezia e nel
2007 viene invitato a partecipare al concept per la riqualificazione di un brano di Pechino.
Flavio Albanese ha fatto parte del comitato
scientifico di Domus Academy ed è stato coordinatore
dell’Officina Porto di Palermo.
Dal maggio 2007 a marzo 2010 ha diretto
«Domus», la prestigiosa rivista internazionale di
architettura, design e arte contemporanea.
THE SUBLIME VERTIGO
Flavio Albanese
Tutors: Piero Corradin, Giuseppe
Santonocito, Maria Pesavento
dove: Dolomiti
cosa: Osservazione del paesaggio
Premessa
Il 26 giugno 2009 le Dolomiti sono
state inscritte nella Lista Unesco del Patrimonio dell’Umanità
“grazie alla loro bellezza, all’unicità paesaggistica e
all’importanza scientifica a livello geologico e geomorfologico”.
Poiché compito dell’Unesco
è promuovere la protezione e la conservazione del patrimonio culturale e
naturale planetario, le Dolomiti si apprestano a diventare territorio tutelato,
paesaggio sacro, spazio “museale” da preservare contro le future
manomissioni.
Qual’è il valore di questa preservazione? Cosa percepiamo davvero quando guardiamo un paesaggio?
Alcuni dati sulle Dolomiti: 12
comprensori sciistici, 450 impianti di risalita, 1200 km di piste, un numero
imprecisato di baite, strutture ricettive e di supporto.
Le vette dolomitiche sono tra i paesaggi più
antropizzati e al tempo stesso più esclusivi al mondo: il loro riconoscimento a
patrimonio dell’umanità ci spinge a riconsiderare radicalmente le
categorie di ambiente, paesaggio, spazio comune, architettura.
Montagna
Cosa rappresenta la montagna nell’immaginario della nostra civiltà?
Un luogo non banale, una stazione dello
spirito.
Collocata come un punto esclamativo
sull’orizzonte, la montagna dischiude una terra di mezzo, uno spazio
inquieto. Rispetto alla vita in piano, la verticalità della montagna è
discontinuità, frattura, condizione-limite
dell’abitare. L’idea di misurare il limite
dell’illimitato ci invita a pensare la montagna come quella dimensione
utopica e poetica in cui non valgono le leggi e i
parametri della vita quotidiana. In cui per esplorarla, si deve partire da
zero, accettando la difficoltà delle sue condizioni.
Per questo non si può dire della montagna che
è bella, se non sminuendola. Il bello infonde quiete e armonia, il bello è calma e stasi. La montagna è sempre e solo
dinamica vertigine, una vertigine sublime.
Paesaggio
Il paesaggio, diceva Schelling,
non ha realtà che agli occhi di chi lo guarda. È natura antropizzata, natura
che esibisce i segni e le tracce dell’azione umana. Il paesaggio così
definito non rimane immutabile, ma si evolve insieme ai piani estetici e alle
prospettive culturali.
Non c’è equivoco più ricorrente e più
banale che quello di confondere il paesaggio con
l’ambiente: mentre quest’ultimo appartiene all’universo
fisico, il paesaggio si inscrive invece nelle produzioni culturali. E’ un
prodotto collettivo, costruito da tutti e costruito da nessuno.
La montagna non si sottrae a questa logica:
esplorata, conquistata, assediata, mappata, scansionata, non c’è vetta
collocata sulla crosta terrestre esente da tracce di trasformazione antropica.
Non c’è cima immune dallo sguardo contemporaneo.
Metodo
«Ogni volta che stabiliamo una relazione, ogni
volta che colleghiamo due termini, ci dimentichiamo di ricominciare da zero, di
tornare allo zero» (J. Cage).
L’osservazione del paesaggio è una
strategia di lettura dello spazio, propedeutica ad ogni attività progettuale:
si diventa buoni architetti, se si è dei buoni osservatori.
Comprendere il paesaggio contemporaneo
significa allora imparare ad osservarlo, adottando il lessico di una lingua
nuova, da costruire di volta in volta: una sorta di meta-o ne-archeologica
che definisca criteri contemporanei di raccolta e classificazione dei reperti e
degli scenari.
Significa soprattutto abbandonare lo spazio
neutro dello schermo del computer, ma anche l’idea di “bel
paesaggio” ereditato dalle pitture inglesi dell’Ottocento,
disinnescando i nostri pregiudizi, le nostre menti di architetti, i nostri
schemi interpretativi.
L’osservazione del paesaggio è una
pratica complessa che si esercita sul tempo e sullo spazio rinunciando
all’idea di raggiungere qualcosa, per limitarsi a diventare acuti
spettatori che descrivono lo spettacolo di fronte a loro.
Osservare il paesaggio delle Dolomiti diventa
un esercizio della percezione, in cui si chiederà ai partecipanti di mettere
tra parentesi gli apparati dell’hardware (teorie, tecniche, insegnamenti)
per affidarsi alla sensibilità del software (impressioni, percezioni, emozioni,
descrizioni, educazioni dello sguardo).
Rinnegando la struttura per il flusso, la
forza per la fragilità, la sicurezza per l’avventura, la matematica per
l’estetica, inviteremo gli studenti a riattivare l’attitudine
nomade di chi vive in tenda, di chi è ramingo, di chi sa leggere e interpretare
le tracce dei luoghi: l’etnologo, l’esploratore, il guerrigliero,
l’eretico, l’asceta, l’imboscato.
Ufficio stampa Iuav
Martina
Zambon
cell. 3494917264