Venezia, 13 agosto 2010

 

 

A Venezia le fotografie che incantarono Le Corbusier

«Il paese dei sogni - fotografie mediterranee» negli scatti di Enrico Peressutti, architetto dello studio BBPR che legò il suo nome alla celebre Torre Velasca di Milano

Ovvero, quando l’architettura si fonde con la fotografia

 

Mostra «Enrico Peressutti. Fotografie Mediterranee»

fotografie scattate da Enrico Peressutti nelle Murge degli anni ’50

22 settembre > 15 ottobre (9-19)

Sala Gino Valle

Palazzo Samonà (Ex cotonificio di Santa Marta)

Dorsoduro 2196, 30123 Venezia

 

inaugurazione

22 settembre 2010, ore 13

a cura di Serena Maffioletti

 

Università IUAV di Venezia

Politecnico di Bari

 

Il friulano Enrico Peressutti (1908-1976) è stato, con il gruppo BBPR, fondato nel 1932 insieme a Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso ed Ernesto N. Rogers, figura di spicco dell’architettura italiana del Novecento con progetti che spaziano dall’edilizia all’urbanistica, passando per il design e la fotografia.

 

Peressutti, come gli altri soci di BBPR, non si limitò mai all’architettura. In accordo con lo spirito sperimentale dei tempi, esplorò con passione e risultati stupefacenti altre forme espressive, tra cui la fotografia. Non a caso l’idea iniziale della mostra arriva da un dialogo tra Italo Zannier, decano della fotografia in Italia che sarà allo Iuav per inaugurare l’esposizione insieme alla figlia di Peressutti, Marina, e la curatrice della mostra Serena Maffioletti, docente Iuav.

 

L’università Iuav di Venezia ospita, infatti, una mostra unica che racconta, attraverso 88 scatti realizzati da Peressutti negli anni ’50, la Puglia dei trulli e di un universo rurale, quell’architettura spontanea, architettura mediterranea che diventa riferimento antropologico primario.

 

La mostra, promossa dall’Università Iuav di Venezia e dal Politecnico di Bari – dove in seguito si trasferirà e sarà accompagnata da un convegno -, è corredata da un volume edito dal Poligrafo.

 

manifesto della mostra

 

 

La storia dell’album che incantò Le Corbusier

 

Dei 300 scatti del reportage, Peressutti opta per una selezione di 88 immagini raccolte in due album presentati a un convegno dell’Industrial Designer’s Institute nel periodo in cui l’architetto insegna alla School of Architecture di Princeton. Da lì, Peressutti invia alcuni «scatti pugliesi» a Le Corbusier che ne parla in termini entusiastici: «[…] vos magnifiques photographies. C’est du plus haut intérêt, c’est de l’architecture, c’est l’art. La page qui tourne aujourd’hui permet précisément de prendre contact avec le passé le plus essentiel – même le préhistorie, c’est à dire avec l’être humain par excellence. Tout ceci est très encourageant. De plus, ce qui frappe c’est que la main de l’homme apparait dans tout cela, dans les profils, sur les surfaces d’enduits. Echelle humaine, paysages, nature et exaltation des matériaux les plus fondamentaux. Je suis très fier de ces photographies et je vous remercie sincèrement» ([…] vostre magnifiche fotografie. Sono del più grande interesse, sono architettura, sono arte. La pagina che gira oggi permette precisamente di prendere contatto con il passato più essenziale – anche la preistoria, cioè con l’essere umano per eccellenza. Tutto ciò è molto incoraggiante. Di più, ciò che colpisce è che la mano dell’uomo appariva in tutto ciò, nei profili, sulle superfici d’intonaco. Scala umana, paesaggi, natura ed esaltazione dei materiali più fondamentali. Sono molto fiero di queste fotografie e La ringrazio sinceramente»). In mostra non mancherà il carteggio intessuto di riflessioni e franco apprezzamento fra Le Corbusier e Peressutti.

 

 

Estratto dal saggio «Il paese dei sogni»

di Serena Maffioletti

 

Il paese dei sogni è il titolo di un disegno di Enrico Peressutti del 1933, quasi un manifesto della ricerca del giovane architetto: l’albero-grattacielo, il bastimento ancorato in una pozza d’acqua, un’abitazione in vetro tra fiori più alti dell’edificio, una cascina scarnificata alla struttura geometrica. Entro la rete inestricabile di scambi che attraverso i moltissimi progetti lega i quattro BBPR, Peressutti appare complementare a Rogers: se la formidabile progressione teorica rogersiana è resa soprattutto dalla parola, quella non meno incalzante e incisiva è consegnata da Peressutti all’immagine.

 

Peressutti si laurea nel 1932 con gli amici Banfi, Belgiojoso e Rogers, iniziando il percorso che la premessa-manifesto ai loro quattro progetti di tesi annuncia: «Noi crediamo che non basti all’architetto il costruire, ma sentiamo il bisogno di dire, di esprimere, con la sintesi dell’opera nostra, oltre che la vita contingente, il pensiero e il carattere dell’epoca attuale». […] L’elaborazione della nuova architettura si svolge sul filo del dialogo con le arti visive attraverso il coinvolgimento nelle loro opere di Melotti, Fontana, Guttuso, Cagli… e l’esplorazione di più profonde sintesi nell’elaborazione di una nuova spazialità. Affidandoli alla tensione tra superfici e volumi, tra scale diverse degli elementi, tra sculture, oggetti, parole e fotografie, e al movimento del visitatore come esperienza spazio-temporale, i BBPR sondano nuovi orizzonti del progetto, sviluppando nelle esposizioni concatenazioni di suggestioni e di luoghi dinamici, narrativi, evocativi.

 

Molto presente tra i materiali espositivi spesso come gigantografia, la fotografia accompagna la ricerca dei BBPR, soprattutto di Gianluigi Banfi ed Enrico Peressutti: giovani architetti, tesi tra i programmi di «Quadrante» e di «Casabella», collaborano ad entrambe le riviste certamente più per volontà di concorrere al rinnovamento dell’architettura italiana, che per una scelta di campo, come più tardi preciseranno. […]

 

Tra le incursioni che i BBPR conducono nel campo delle arti visive (e non solo) e compiono anche attraverso il dialogo con molti artisti stanno diverse sceneggiature, cui soprattutto si dedica Peressutti: probabilmente di pochi anni successiva alle fotografie di «Quadrante» e agli allestimenti nel segno della synthèse des arts majeurs, è la sceneggiatura – firmata da Banfi, Belgiojoso e Peressutti (ma non da Rogers, fatto che consente di presumerne la datazione dopo la promulgazione delle leggi razziali) – del cortometraggio “astratto” Ritmi di tempi, composto da sequenze di immagini, l’una a dominante bianca e l’alta nera, ritmicamente intrecciate.

 

Se lo sconfinamento nel campo cinematografico avrà soprattutto per Peressutti altri episodi, l’opera dei BBPR, negli anni precedenti la guerra e durante la stessa, attinge vigore dalla fotografia. Il successivo manifesto per l’architettura che essi redigono, Stile (Editoriale Domus, Milano 1936), articola la storia umana in capitoli, individuando per ognuno il parallelismo tra civiltà ed espressione artistica e rappresentandolo in un impaginato “cinetico”, che, raffinato, complesso e apprezzato da Moholy-Nagy e Le Corbusier, sovrappone fotografie a disegni e scritti, stampati su fogli di diversa trasparenza.

 

L’insieme di queste esperienze e l’anticipazione costituita dalle tavole redatte per il Piano regolatore di Pavia (1933), introducono all’uso che i BBPR compiono della fotografia per la presentazione del Piano regolatore della Valle d’Aosta, commissionato da Adriano Olivetti: il Piano, completato nel 1936, fu pubblicato solo dopo l’8 settembre, nel dicembre 1943, con un’edizione curata da Zveteremich e impaginata da Marcello Nizzoli. Peressutti, che con Banfi e Rogers redige i Piani regolatori della Valle d’Aosta e della stazione turistica di Pila (mentre Belgiojoso con Bottoni quello della conca del Breuil e Figini con Pollini quello del versante italiano del Monte Bianco e un quartiere a Ivrea), concorre con proprie fotografie alla predisposizione dell’eccezionale apparato analitico, composto da un vasto insieme di immagini dai molteplici soggetti (geografici, urbanistici, architettonici, tecnologici, sociologici, turistici, botanici…) e da montaggi di grafici-disegni-fotografie-parole che con modalità inedite documentano la nuova fondazione della pianificazione nei caratteri strutturali del territorio e in quelli fisici del paesaggio: l’analisi della città di Aosta è presentata da itinerari fotografici attraverso il degrado del patrimonio edilizio e i progetti sono prevalentemente presentati tramite fotomontaggi, che evidenziano la dialettica morfologica intrapresa dall’intervento con i luoghi nella costruzione dei nuovi paesaggi, sia alpini che urbani. […]

 

Inspiegabilmente Peressutti fotografo – ma anche Gianluigi Banfi –, che con la fotografia contribuì alla ricerca architettonica dei BBPR e con i molti scatti dedicati alle opere dello Studio concorse alla loro vasta conoscenza, è fino ad ora pressocchè ignoto. […]

 

Peressutti, arruolato e inviato nel 1941 con l’ARMIR in Russia in quanto interprete per la conoscenza del rumeno che la sua nascita comporta, rientra, perché ammalato di tifo, in Italia, portando con sé alcune centinaia di scatti dell’est europeo, delle sue genti e delle sue architetture, così come dell’esercito italiano belligerante. Foto scattate con rapidità documentaria: cronache, tra le poche rimaste, delle velleità del fascismo italiano in Russia. Al rientro in Italia la maturazione politica dei BBPR porterà Peressutti all’impegno nella lotta clandestina: Rogers, ebreo, fugge in Svizzera; Banfi e Belgiojoso sono deportati a Mauthausen.

 

La coerenza della ricerca, che Peressutti conduce attraverso la fotografia, all’opera dei BBPR e all’ampliamento del dominio disciplinare che essi propongono per l’architettura, trova, alla ripresa della vita democratica e nell’impegno nella ricostruzione, una ridefinizione nell’esplorare i primi passi verso la definizione dei nuovi materiali per l’architettura, intesa ora come “casa dell’uomo”. […]

 

«Abbiamo sentito – e questa non è un’iperbole – di poter amare quei luoghi come qualcosa di nostro, qualcosa che fosse parte di noi stessi, del nostro essere in senso storico remoto o di là da venire – scrive Peressutti –. Ed abbiamo sentito una volta di più nostro dovere l’impegno di custodire gelosamente e semmai di arricchire queste eredità per trasmetterle al domani più lontano[…]. Se vogliamo tenere vivo un qualunque ambiente preesistente, è necessario adattarlo con amore, ma anche con altrettanto coraggio, alle nostre esigenze spirituali e materiali». (E.P., Un convegno per la protezione di Erice, «Casabella-Continuità», 215, 1957). Ecco come si colloca il reportage di Peressutti in Puglia. Pubblicate già nel secondo numero della direzione rogersiana di «Casabella-Continuità» (200, 1954 e successivamente nel 209, 1956), le fotografie che Peressutti scatta nella campagna di Alberobello, Martina Franca, Locorotondo… appartengono a quell’indagine sull’architettura spontanea che la rivista andava compiendo, ma soprattutto si fanno interpreti di quella chiarificazione del concetto di tradizione e del rapporto tra storia e progetto che Rogers nella rivista e i BBPR nelle opere di Studio andavano tracciando entro le difficoltà che l’architettura viveva nell’allargamento mondiale e che i passaggi generazionali anche in Italia acuivano.

 

Interessato a “ce type d’urbanisation”, è Le Corbusier a chiedere quelle fotografie a Peressutti, avendo saputo della loro presentazione ad un convegno dell’Industrial Designer’s Institute (L.C., Lettera a E.P., 14.1.1955, Archivio Marina Peressutti). Così Peressutti, che insegna alla School of Architecture di Princeton, ne invia al Maestro alcune, ma non i kodacolor sullo stesso soggetto, che intende proiettare nell’imminente viaggio in Messico: «J’ai l’intention – aggiunge – de publier un livre sur le sujet où je voudrais demontrer que le système de costruction parfaitement rationel et les formes résultantes sont des éléments classiques de l’architecture, même et surtout parce-que ces maisons sont absulument spontanés» (E.P., Lettera a L.C., 25.1.1955, Fondation Le Corbusier, Paris). Sembra dunque rispondere a questo proposito la selezione delle 88 fotografie, scelte tra i molti scatti compiuti (almeno 300), e la loro raccolta nei due album composti a Princeton, cui Peressutti premette una lettera di Le Corbusier:  «[…] vos magnifiques photographies. C’est du plus haut intérêt, c’est de l’architecture, c’est l’art. La page qui tourne aujourd’hui permet précisément de prendre contact avec le passé le plus essentiel – même le préhistorie, c’est à dire avec l’être humain par excellence. Tout ceci est très encourageant. De plus, ce qui frappe c’est que la main de l’homme apparait dans tout cela, dans les profils, sur les surfaces d’enduits. Echelle humaine, paysages, nature et exaltation des matériaux les plus fondamentaux. Je suis très fier de ces photographies et je vous remercie sincèrement». (L.C., Lettera a E.P., 28.2.1955, Fondation Le Corbusier, Paris).

 

Attraverso i moltissimi scatti Peressutti scruta spazi, oggetti, azioni, tempi e luci per penetrare, con lentezza, nelle forme e nella materia, per scoprire nei dettagli gli elementi di quella tradizione essenziale ed eterna che vive in quelle forme, per trovarne e annotare quei segreti che lui intende custodire nei propri progetti. Le fotografie trasmettono tutto il fascino avvertito di un’unità, insieme società e paesaggio, dove ogni figura e ogni azione sono colte quali elementi costituitivi di una praticabile armonia, che l’immagine consapevolmente fissa nella ricerca della forma e del gesto che l’abita, e del sentimento che la rende “casa dell’uomo”.

 

E’ solo l’occhio di un architetto, e di un grande architetto, che poteva fotografare come se progettasse, con quella accuratezza e lentezza che la consapevolezza della fatica nella manipolazione della materia, della misura, del dettaglio poteva indurre, elencando, studiando e componendo un abaco completo di materiali per una nuova città: strade, chiese, case, corti, aie, oggetti… persone, i giovani, i anziani, le donne… i gesti del vivere, del lavorare, del riposare e del muoversi… e lo stare dell’architettura nella natura e con la decorazione, con la scultura…

 

Dopo aver fotografato per denunciare il degrado della città o per comporre i manifesti di una nuova architettura, Peressutti si sofferma ora nella felicità di aver infine trovato la «geometria che parla, architettura che dalle sue pareti lascia trasparire una vita, un canto» (E.P., Architettura mediterranea, cit.). E riconosce la possibilità di un sogno: «Quando l’architetto dà forma concreta agli elementi della casa […] – scrive – egli non solo ha presente tutti gli aspetti meccanici, estetici e quindi architettonici del problema […], ma anche si ispira a quel senso di semplice dignità umana cui la nostra civiltà anela per esprimersi compiutamente» («Domus», 208, 1946).

 

 

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