Undergraduate and graduate programmes offered by the University iuav of Venice:

It seems like nobody wants to work these days

 

mostra

23 febbraio > 8 marzo 2024

mercoledì - domenica, ore 12 - 18

Spazio Punch, Giudecca 800/O, Venezia

spaziopunch.com

Boat stop Giudecca Palanca

 

Spazio Punch presenta It seems like nobody wants to work these days, espansione del progetto omonimo realizzato nell’abito del Laboratorio di art direction interno al curriculum Comunicazione e nuovi media della moda del corso di laurea in Design della moda e Arti multimediali all’Università Iuav di Venezia nell’a.a. 2023/2024.

 

Il laboratorio finale, condotto da Rossana Passalacqua e Francesco Valtolina (Cabinet Milano) con Anna Carniel, si è concluso nel giugno 2023 con la presentazione pubblica di quattro installazioni che declinano il tema del lavoro attraverso un processo capace di svelarne i disagi, i paradossi e la creazione di mondi paralleli.

 

Su invito di Spazio Punch e del suo direttore creativo Augusto Maurandi, ciò che è stato mostrato prima viene ripensato. Le installazioni assumono nuove forme e si animano attraverso performance live. All’interno del bookshop e del format Bookzilla, durante i giorni It seems like nobody wants to work these days, fanno la loro prima comparsa le pubblicazioni الكلمتحريف Gli antenati disegneranno i confini e Pelatokitchen, prodotte appositamente per questo progetto espositivo.


 

Immagine che contiene persona, vestiti, Viso umano, interno

Descrizione generata automaticamente


 

In quanto archetipo tradizionale, il lavoro ha sempre significato fatica, sforzo e sofferenza. Come il lavoro è diventato l’attività centrale della nostra vita?

 

It seems like nobody wants to work these days è una mostra collettiva che rifugge dalla tradizionale definizione del lavoro che porta all’auto-identificarci e auto-costringerci attraverso esso. Riunisce all’interno dello spazio quattro installazioni che declinano il lavoro tramite un processo che ne svela i disagi, i paradossi e la creazione di mondi paralleli.

 

Davvero più nessuno ha voglia di lavorare o siamo tutti alla ricerca di un mondo in cui la produttività non sia il fulcro della nostra vita?

 

Qui si rivendica uno spazio in cui le tradizionali azioni vengono sovvertite in favore di azioni folli, in cui stati di malessere psicofisico vengono esasperati e portati all’estremo, in cui siamo liberi di fare e non portare a compimento, in cui siamo liberi di fallire. Attraverso video, audio, performance e carta stampata le installazioni sovvertono il significato stereotipato del lavoro. La mostra si costruisce su un percorso fatto di cubicoli decostruiti, gli angoli di lavoro sono invasi da corpi liberi e schermi digitali.

 

Il lavoro ci rende emozionalmente disimpegnati? Vogliamo davvero lavorare? Possiamo intraprendere azioni, senza la garanzia del successo? Il lavoro può raggiungere una concezione salvifica?

 

Le domande che la mostra ci pone si inseriscono in una società in cui sembra che nessuno abbia voglia di lavorare, forse nemmeno noi. La storia Instagram diventa l’unico supporto stampa­to della mostra. Anti comunicativa, contraria ai principi della grafica e all’utilita­rismo del design, i font diventano decorazioni, le informazioni si perdono. La ripetitività rafforza il concept e lascia spazio alla fantasia di cosa possa diventare.

 

Una storia Instagram può diventare universale, cosa serve scalare? Perimetri di lavoro, cubicoli o cunicoli, gli uffici nel futuro saranno in sedici noni? Immagini che si animano e chiacchierano, ripetere da valore alle cose? Una comunicazione rapida come uno scroll e se ci mettessi 10 minuti a fare una grafica ma 10 giorni per installarla?

 

 

installazioni

 

Intensità morta

di Maria Vittoria Dagostino, Aurora Scinetti, Camilla Toffaletti

performance: Pierandrea Rosato

sound: Marco-Augusto Basso

 

Ma dove sono i corpi? I corpi sono innanzitutto a lavoro. I corpi sono innanzitutto alla pena del lavoro.

(Jean-Luc Nancy)

 

Ripetitività, alienazione, inerzia, frustrazione, distacco, agitazione sono le parole che costellano gli stati d’animo dei lavoratori che vivono la sindrome del burnout. Il burnout è il risultato di un processo graduale che attraversando varie fasi, culmina nel raggiungimento di uno stato di disimpegno emozionale. L’unico occhio non umano è il disposi­tivo, la sua forza sta nella subordinazione, nell’ansia di essere controllato il corpo si trasforma e si conforma a un determinato modo di essere. In Intensità morta una stampante riproduce ininterrottamente l’atto primo fino ad arrivare all’esasperazione, al getto scomodo di pagine bianche, metafora visiva della fase di apatia. Qui il corpo vivo non esiste più, rimane solo quello impresso su carta in fotogrammi statici.

 

 

Il mestiere è il mio piacere_69

di Emanuele Argentieri, Rocco Arreghini, Elisa Gasparini, Eleonora Franchi, Francesca Parolin, Tommaso Tobio

 

Guardare al lavoro come dinamica in cui esiste una doppia prospettiva. C’è chi guarda e chi lavora. Si instaura un rapporto tra soggetto e oggetto in cui lo sguardo è un invito a questo lavoro performato. Cadono le pareti dell’ufficio e nello spazio osservato quattro scenari sono incasellati all’interno di un perimetro. Un bird-watcher munito di macchina fotografica e cannocchiale spia le postazioni. Lo scenario del lavoro è tutto da guardare, ciascuno nel suo ruolo concorre alla situazione. Le scrivanie e le sedie da ufficio rilocate sono palco di azioni compiute. Le dinamiche del retroscena diventano focus della ribalta. Nel punto di fuga vengono proiettate le quattro postazioni. Tu dici vivere, io parlo di guardare.

 

 

Il Giardino dell* Miserabilissim*

di Chiara Benevolo, Elena Boscariol, Giulia Ceccarelli, Gaia La Fisca Sarullo, Carolina Maylen Schultze

 

È un mondo immaginifico creato per fuggire dalle logiche dell’iperproduzione, una realtà delirante per scappare dalla noia e dai doveri: è legittimazione del fare niente e produrre niente. Qui il lavoro non esiste, creature ibride interagiscono con oggetti non conoscendo il loro reale utilizzo, generando una nuova funzione e realtà. La meravigliosa anarchia dell’infanzia come modo di stare al mondo. Un comportamento da erbaccia non corrotto da logiche sociali che impongono il concetto di lavoro già nei giochi per bambini. Un premio a chi fallisce. Il progetto si compone di tre livelli che convivono senza gerarchie, amplificandosi a vicenda. Una struttura-portale come catapulta verso Il giardino dell*  miserabilissim*, un video da fruire con la postura dei falliti pigroni e un manifesto con dieci step per diventare una gallina in fuga.

 

 

G1N0

di Andrea Francesa Morganti, Anita Marchioro, Benedetta Micheletto, Emma Vianello, Luca Vedovato

 

In questa storia lo stadio è teatro della rivalsa e della quotidianità di un uomo; il lavoro invece, è la via e il mezzo per ritrovare sé stessi. Il protagonista, dopo un periodo di forte depressione, ritrova lentamente la forza alla vita attraverso il lavoro in una società calcistica. G1N0 si propone di essere un omaggio alla dedizione lavorativa del protagonista e alla forza che il lavoro può acquisire nella vita di un uomo. L’installazione prende forma fisica in una tribuna da stadio in cui potersi sedere e sfogliare il giornale che racconta le dinamiche e le mansioni che scandiscono ogni giornata di Gino, piccoli rituali quotidiani che lo hanno aiutato a integrarsi nella comunità e sentirsi parte di essa.