attività culturali

Undergraduate and graduate programmes offered by the University iuav of Venice:

 

 

Utopie: figure del neutro tra semiotica e estetica

 

 

giornata di studi

 

26 maggio 2017

Terese, aula A

ore 11.30 > 18

 

intervengono

Lucia Amara

Maria Cristina Addis

Tarcisio Lancioni

Andrea Pinotti

Antonio Somaini

Francesco Zucconi

 

introduce Angela Mengoni

 

nell’ambito del corso di laurea magistrale in arti visive e moda

 

in collaborazione con

Centro di semiotica e teoria dell’immagine “Omar Calabrese”

 

 

contenuti

 

programma

 

abstract

 

profilo dei relatori

 

 

contenuti

 

Il seminario è organizzato in collaborazione con il “Centro di Semiotica e Teoria dell’immagine Omar Calabrese” dell’Università di Siena e prende avvio dalla recente pubblicazione del libro Utopie Vocali. Un luogo da cui parlare (Mimesis 2016) a cura di Lucia Amara, co-ideatrice della giornata.

 

Il volume raccoglie alcune conversazioni tra Michel de Certeau, Paolo Fabbri e William Samarin attorno al fenomeno della glossolalia, in preparazione al seminario del Centro Studi di Semiotica e Linguistica di Urbino del 1978. Lungi dall’esaurirsi in ambito linguistico, la riflessione di de Certeau sulla glossolalia introduce al tema più ampio dell’utopia, laddove egli rileva la carica “utopica” di una voce che “si situa fuori-le-mura di una lingua” e “non articola neanche (o non ancora) unità semantiche”, rinviando così all’utopia vocale di un senso “già uscito dal silenzio, ma non ancora asservito a una particolare lingua” e alla sua funzione referenziale. È la condizione di possibilità della presa di parola, prima ancora (ma questo prima è generativo e non genetico) del suo esito semantico, che si enuncia nella glossolalia.

 

Questo “neutro linguistico” è pensato da De Certeau in esplicito riferimento ai lavori del semiologo Louis Marin sul neutro: ne-uter, né una cosa né l’altra, ma, appunto, precondizione per il sorgere di ogni differenza, il neutro è il tratto potenziale che precede ogni affermazione o negazione, spazio utopico – “gioco di spazi” – che è condizione di possibilità per instaurazioni a venire (Utopiques. Jeux d’espace 1973). Con il “neutro” come terzo termine “non sintetico”, si rende pensabile, per Marin, “la forza illimitata (…) che sottende il discorso come potenza produttrice mai fissata, mai immobilizzata in una delle sue forme o in una delle sue figure”. Questo tratto potenziale è inerente al discorso e al contempo lo eccede, vi riapre ogni volta la possibilità di articolazione. Il termine neutro “appare allora tra l’uno e l’altro, né l’uno né l’altro, come terzo termine mancante e a venire (…) se la sintesi dei contrari è l’uno e l’altro, il neutro ne marcherà il posto vuoto, ma in quanto può essere riempito. Né l’uno né l’altro ma in attesa di essere l’uno e l’altro”. Allo stesso modo la voce è precondizione inerente al logos, all’ancoraggio semantico della parola articolata, e la sua manifestazione glossolalica è emersione della possibilità stessa di articolazione del senso, inizio della parola “in vista di instaurare operazioni linguistiche a venire” (De Certeau).

 

Utopia non è più, dunque, un non-luogo o un luogo astratto, ma ritrova le sue manifestazioni immanenti, ora nelle espressioni parossistiche o pre-logiche come quelle glossolaliche, ora nel “gioco di spazi” necessario all’articolazione dello spazio urbano (anche della città ‘utopica’), ora nel manifestarsi di quella ‘materia’ inarticolata (ad esempio pittorica) che apre su un al di qua o al di là della rappresentazione e rinvia alla precondizione di  ogni articolazione (sia essa la figuratività pittorica, l’articolazione linguistica etc).

 

Il carattere potenziale del neutro non è legato dunque alle specificità dei singoli linguaggi, ma piuttosto a quel Grund di figurabilità sotteso alle manifestazioni figurative, cosicché la matrice figurale della Pathosformel warburghiana, ad esempio, e lo spazio generativo elaborato attraverso il meccanismo di display dell’atlante Mnemosyne non sono distanti dalla dinamica descritta da Marin: “Il gioco utopico non si indica nella manifestazione apparente delle figure, nella superficie della società che la finzione modella. Si svolge nell’immanenza della produzione figurativa, dissimulato dalle immagini in cui essa si esprime e si immobilizza” cosicché bisogna tornare a rimettere in libertà il gioco utopico “rilevando, nelle immagini, il transito nel duplice senso quasi contraddittorio del suo movimento e del suo essere colto dalla morte” (Utopiques: Jeux d’espace).

 

A partire da queste premesse, il seminario è dedicato a questo tratto di potenzialità figurale e al suo carico utopico, sia attraverso la riflessione dei vari autori citati, sia esplorando in modo più ampio le diverse forme del “neutro” tra semiotica ed estetica. Si tornerà sulla questione della voce in De Certeau e in Carmelo Bene, sul concetto di neutro in Marin e sulla sua declinazione di “utopia capitalista” in Costa Smeralda, sulle forme e “memorie del neutro” in Warburg e in Sergej Eisenstein.

 

 

programma

 

h. 11.30>13

 

Angela Mengoni (Università Iuav di Venezia)

Introduzione. Sul neutro in Louis Marin

 

Maria Cristina Addis (Università di Siena)

Aporia del limite e violenza del neutro: sulla Costa Smeralda, un’utopia capitalista

 

 

h. 15>16.30

 

Lucia Amara

Utopie vocali. A partire da Michel de Certeau

 

Francesco Zucconi (Ehess, Paris)

Phonè e immagine: Carmelo Bene nella riflessione di Maurizio Grande

 

 

h. 16.45>18.15

 

Andrea Pinotti (Università degli Studi di Milano)

“Camaleonte dell’energia". Il neutro in Warburg

 

Antonio Somaini (Université Paris 3 – Sorbonne nouvelle)

Il neutro e il medium. Turner, Balázs, Ejzenštejn

 

 

discussant:

Tarcisio Lancioni, Centro di Semiotica e teoria dell’immagine “Omar Calabrese”, Università di Siena

 

 

abstract

 

Maria Cristina Addis (Università di Siena)

Aporia del limite e violenza del neutro:

sulla Costa Smeralda, un’utopia capitalista

 

Nata in risposta alla frattura del mondo feudale che accompagna la nascita del capitalismo occidentale, l’utopia assolve secondo Louis Marin a una duplice funzione, critica e conoscitiva, pensabile e descrivibile attraverso un concetto di portata molto generale, il neutro (o l’indefinito). Esito di una doppia negazione, il termine neutro individua il luogo inoccupabile di una contraddizione, il vuoto creato dalle tensioni contrarie che inibiscono lo stabilizzarsi di un topos; se «apre nel discorso uno spazio che il discorso non può accogliere» (Marin 1973) è perché posarvi lo sguardo significa sospendere tutto ciò che lo fonda, il tacito accordo inter-soggettivo sulle sue condizioni di possibilità. Coerentemente con lo «scarto dei contraddittori» che lo genera, il discorso utopico si caratterizza per instabilità topologica e veridittiva: né qui né altrove, né reale né immaginaria, l’utopia conserva entrambi i poli in un’ambivalenza che non conosce sintesi.

 

Louis Marin porta l’attenzione sul fatto che l’utopia in quanto tale non dischiude un programma per il futuro: sua funzione è figurare ciò che ancora non è enunciabile, aprire una maglia nella continuità spazio-temporale della storia che consenta a una cultura di guadagnare distanza da sé, di dispiegare su tavola sinottica i possibili scaturenti da un momento di crisi e trasformazione. Tale funzione viene a mancare in quelle che lo stesso Marin definisce utopie degenerate, ovvero «ideologie realizzate sotto forma di mito», che cristallizzano la dinamica tensiva da cui discende la forza critica dell’u-topos nella messa in scena reale di un’ideologia mitizzata.

 

La dense ricerche di Louis Marin dischiudono una vera e propria teoria del potere – inteso in primo luogo come rapporto fra forze e condizione discorsiva del loro esercizio – che orienta la nostra lettura della Costa Smeralda come utopia contemporanea, mito realizzato che delle strutture utopiche conserva le tensioni neutralizzanti e il gioco di spazi che le manifesta figurativamente.

 

Brand immobiliare ideato e realizzato dal consorzio omonimo a partire dal 1962 sul territorio di Monti di Mola (Comune di Arzachena), il neologismo Costa Smeralda individua indissolubilmente un’area geografica e un marchio commerciale, una porzione di superficie terrestre e un bene di lusso, un punto sulla mappa e il valore aggiunto di un prodotto, senza che i due poli vengano mai a coincidere del tutto o viceversa possano distinguersi e divergere definitivamente. Se il valore di posizione e quello di attributo coesistono senza coincidere, se rimandano agli spazi incompossibili del territorio geopolitico e dell’universo di marca senza per questo dissolvere l’effetto d’insieme, è perché ciò che ne fonda il valore e il funzionamento è esattamente una tale posizione di scarto fra ordini di realtà mutuamente esclusivi, fra la superficie terrestre in cui suo malgrado si inscrive e l’“exclusive paradise” che vorrebbe affrancarsi per sempre dai limiti di questo mondo.

 

 

Lucia Amara

Utopie vocali. A partire da Michel de Certeau

 

Il dono delle lingue è come il dono delle lacrime per Michel de Certeau: sgorgano, arrivano senza patto con l'altro, senza negoziare col senso; eppure hanno senso; eppure raggiungono egualmente l'Altro. Scrive de Certeau in Utopies Vocales «La credenza che fonda l’attesa di un dire ha anche per effetto l’atopia della scena in cui si produce. Essa ha per garante l’utopia glossolalica, «utopia» perché non è né l’una né l’altra delle lingue naturali, né questa né quest’altra, ma un neutro linguistico. È necessario un sembiante che sfugga alla localizzazione per porre una questione che è universale (cosa significa «dire» senza dire qualcosa?) e che per definizione è priva di un luogo proprio». L’intervento prende le mosse da un’interrogazione: come si articola questa singolare relazione tra neutro, utopia e «parlare in lingue» se la collochiamo nell’orizzonte di «un’attesa»?

 

 

Francesco Zucconi (EHESS Parigi)

Phonè e immagine: Carmelo Bene nella riflessione di Maurizio Grande

 

In occasione di numerosi eventi pubblici, Carmelo Bene ha fatto esplicito riferimento all’idea di phonè in quanto fondamentale per inquadrare la sua prassi espressiva: in particolare, il seminario Phonè e immagine organizzato nel gennaio 1984 dal Centro Teatro Ateneo della Sapienza presso il Teatro Argentina. L’idea di “teatro della phonè” costituisce del resto uno dei temi centrali dello studio dedicato dal semiologo e filosofo Maurizio Grande – amico e interlocutore teorico di Bene – alle “ideologie e prassi del teatro di sperimentazione in Italia (1976-1984)”: La riscossa di Lucifero, dove l’opera di Bene costituisce una sorta di oggetto teorico a partire dal quale è possibile sviluppare una riflessione sulla storia del teatro e sui suoi esiti più originali nella seconda metà del Novecento.

 

L’intervento intende riprendere i passi teorici in cui Grande chiarisce il rapporto tra “parola” (logos) e “voce” (phonè) nel teatro di Bene. Non essendo uno specialista di teatro, mi limiterò a esplicitare i principali riferimenti di Grande e dunque a contestualizzare l’articolazione di tali concetti nel dibattito delle scienze umane tra gli anni Settanta e Ottanta. In secondo luogo, rifacendomi soprattutto alle analisi e agli spunti offerti da Grande nelle pagine de Il circuito barocco, vorrei provare a capire in che modo la questione della phonè sviluppata soprattutto in relazione al fenomeno teatrale può essere assunta nel discorso cinematografico e dunque estesa all’immagine. In fine, vorrei dunque aprire la questione riguardante il rapporto tra l’estetica della phonè e la questione teorica del “neutro” espressamente focalizzata dalla giornata di studio.

 

 

Andrea Pinotti (Università di Milano)

“Camaleonte dell’energia". Il neutro in Warburg

 

A partire dalle “inversioni” energetiche indagate da Warburg (il serpente “buono” e “cattivo”, la coppia "Menade / Maddalena” e altre), il mio contributo cercherà di mettere in luce alcune problematicità della riflessione warburghiana connesse alle nozioni di “Pathosformel” e di “polarità”.

 

 

Antonio Somaini (Université Paris 3 – Sorbonne Nouvelle)

Il neutro e il medium. Turner, Balázs, Ejzenštejn

 

In un saggio intitolato "On Imitation" (1816), il critico d'arte inglese William Hazlitt scrive, a proposito dei quadri di Turner, che essi sono rappresentazioni "not so properly of the objects of nature, as of the medium through which they are seen". Il concetto di "medium" a cui Hazlitt fa riferimento in questo passo rinvia alla longue durée di una tradizione che si estende da Aristotele alla teoria dei media contemporanea: una tradizione in cui il termine di origine latina medium (con cui viene tradotto il metaxu aristotelico) non indica uno strumento tecnico, né uno strumento di comunicazione, né un insieme di supporti e di tecniche che definiscono la specificità di una forma di rappresentazione artistica: il "medium", in questa tradizione, è quello spazio intermedio, quel milieu sensibile, quell'atmosfera, quell'Umwelt in cui si situa la nostra esperienza sensibile. Ripercorrendo una serie di tappe, nella storia di questo concetto, che vanno dalla "science of aspects" di Ruskin alla Farbenlehre di Goethe, dai concetti di Atmosphäre Stimmung in Balázs alla relazione fra Apparate tecnici e "Medium della percezione" in Benjamin, fino ad arrivare alle idee di "protoplasma" e di "natura non indifferente" in Ejzenštejn, vedremo come l'idea di "medium" può essere pensata in riferimento a quella di "neutro" teorizzata da Louis Marin.

 

 

profilo dei relatori

 

Maria Cristina Addis è Cultore della materia in Semiotica presso l’Università di Siena, in cui si addottora nel 2011 con una tesi di semiotica dell’arte sulle utopie architettoniche moderniste e collaboratrice alla didattica presso il corso di Design industriale delle Università degli Studi della Repubblica di San Marino e Iuav. È segretaria di redazione della rivista Carte Semiotiche. Rivista internazionale di Semiotica e Teoria dell’immagine; è membro del Centro di Semiotica e Teoria dell’immagine “Omar Calabrese (Università di Siena), e del comitato editoriale della collana “I libri di Omar” (La Casa Usher, Firenze). I suoi principali interessi di ricerca ruotano attorno alla teoria dell’immagine e della rappresentazione, con particolare attenzione ai dispositivi architettonici e teatrali: in questo ambito si è occupata di utopie ed eterotopie classiche e contemporanee, di estetica delle arti viventi, delle teorie del potere e del controllo dei corpi elaborate in seno alle arti visive e performative contemporanee. Ha recentemente pubblicato: M.C. Addis, L'isola che non c'è sulla Costa Smeralda o di un'u-topia capitalista, Esculapio, Bologna 2017.

 

Lucia Amara si è laureata in Lettere Classiche a Firenze con una tesi sulla democrazia nel De Republica di Cicerone e poi al Dams di Bologna, dove ha svolto il dottorato in cotutela con l’Université Paris VII nel Dipartimento di Semiologia del Testo e dell’Immagine diretto da Julia Kristeva. Collabora con diversi artisti della scena europea. La sua ricerca si focalizza sulla vocalità, sui linguaggi performativi e su alcune forme irregolari dei linguaggi letterari. Ha scritto saggi su Artaud, Carroll e Wolfson.Tra il 2015 e il 2016, ha svolto un post-dottorato all’Ecole des Hautes Etudes di Parigi.

 

Andrea Pinotti insegna Estetica alla Università Statale di Milano. Si occupa di teorie dell’empatia e dell’immagine, di cultura visuale, di teorie e pratiche della monumentalità contemporanea. È fellow di diverse istituzioni di ricerca internazionali (fra le quali l’Italian Academy at Columbia University in New York, l’EHESS di Parigi, il Warburg Institute di Londra, lo ZfL di Berlino) Fra le sue pubblicazioni i volumi: Cultura visuale (con A. Somaini, Einaudi 2016); Empatia. Storia di un’idea da Platone al postumano (Laterza 2011); Estetica della pittura (il Mulino 2007). Con A. Somaini ha curato il volume Teorie dell’immagine. Il dibattito contemporaneo (Cortina 2009) e la raccolta di testi di Walter Benjamin, Aura e choc. Saggi sulla teoria dei media (Einaudi 2012).

 

Antonio Somaini insegna teoria del cinema, dei media e della cultura visuale all'Université Sorbonne Nouvelle - Paris 3 dove è directeur adjpint del LIRA - Laboratoire International de Recherches en Arts. È membro dello Steering Committee du NECS (European Network for Cinema and Media Studies). Fra le sue pubblicazioni, le monografie Cultura visuale (con A. Pinotti, Einaudi 2016) e Ejzenstejn. Il cinema, le arti, il montaggio (Einaudi 2011); le antologie Teorie dell'immagine (con A. Pinotti, 2009) ed Estetica dei media e della comunicazione (con R. Diodato, 2011); l'edizione critica di scritti di Benjamin (Aura e choc. Saggi sulla teoria dei media, Einaudi 2012) e Moholy-Nagy (Pittura fotografia film, Einaudi 2010)

 

Francesco Zucconi è Marie Skłodowska-Curie Fellow presso il Centre d’Histoire et de Théorie des Arts dell’EHESS di Parigi. Membro del comitato scientifico del Centro Studi “Omar Calabrese” dell’Università di Siena, ha ottenuto un dottorato in “Studi sulla rappresentazione visiva. Storia, teoria e produzione delle arti e delle immagini” presso l’Istituto italiano di Scienze Umane di Firenze.

Tra le sue pubblicazioni: La sopravvivenza delle immagini nel cinema. Archivio, montaggio, intermedialità (Milano 2013); Sguardi incrociati. Cinema, testimonianza, memoria nel lavoro teorico di Marco Dinoi (Roma 2011, co-curatela); Lo spazio del reale nel cinema italiano contemporaneo (Genova 2009, co-curatela). È autore del lemma “Geografia” per il Lessico del cinema italiano (Milano 2014). Ha pubblicato articoli su tematiche riguardanti il cinema e la cultura visuale in riviste scientifiche come “Acta Universitatis Sapientiae, Film and Media Studies”, “Afriche e Orienti”, “Cinergie”, “Comunicazioni Sociali”, “E|C”, “Eu-topías”, “Fata Morgana”, “Lares”, “Lexia”, “Visual Studies”.