Undergraduate and graduate programmes offered by the University iuav of Venice:

Self-fashioning nella comunità transfem italiana

di Gia Mussi

con la supervisione di Alessandra Vaccari

 

Molte teoriche e teorici di moda hanno studiato il rapporto che c’è tra moda e genere. Il tema è stato generalmente sviluppato in due modi. Da una parte, si è discusso di come le persone cisgenere abbiano codificato il loro vestiario e di come siano arrivate a definire cosa della moda sia maschile, femminile, “androgino” o “genderless”. Dall’altra, si è fatto spesso riferimento a “ermafroditi”, “travestiti”, “sciamani”, “androgini”, alle deviate che per davvero o per finta, attraverso la carne o i vestiti, personificano i due sessi.

Ma qual è l’opinione degli “androgini”? Come vivono, e hanno vissuto - le persone trans - il loro rapporto quotidiano con la moda? In questa tesi discuterò la complessità dei significati che la moda può avere nelle vite delle persone transfem. Da un mondo sognato e distante, la moda può diventare uno strumento essenziale di ricerca, liberazione ed espressione di un’identità propria e collettiva; ma anche un ambiente ostile, pensato unicamente da persone cisgenere per corpi cisgenere, e per questo motivo di disagio e oppressione; e infine, una pratica rivoluzionaria incarnata.

La tesi costituisce inoltre una prima indagine sul caso italiano a partire dall’analisi delle fonti raccolte dal Centro Documentazione Aldo Mieli di Carrara - in particolare, le opere di Porpora Marcasciano - e da delle interviste a giovani persone transfem di mia conoscenza in merito al loro rapporto con i vestiti.

La tesi non si pone l’obiettivo di decidere se della moda prevalgono gli aspetti positivi o negativi, di liberazione o di oppressione, di euforia o di disforia, intende tuttavia dimostrare come una lettura transfem della moda possa aiutare ad affrancarla dalla visione binaria e capitalista entro la quale viene solitamente intesa. A questo scopo verrà riportata la storia della stessa comunità transfem, che vedremo essere fin dagli albori connessa a quella dello spettacolo e della moda.

L’esperienza trans, infatti, è stata per lungo tempo collocata e associata a una dimensione performativa o spettacolare piuttosto che alla realtà “di tutti i giorni”. Ma perché?

Per gran parte del Novecento, i lavori che prevedevano l’esposizione del proprio corpo - uno su tutti, il sex-work - si sono profilati come il mezzo di sostentamento più diffuso tra le persone transfem. Ciò è attribuibile, per buona parte, a una densa storia di oppressioni e di ossessioni mediche e mediatiche nei confronti dei loro corpi, ad opera di una società che persiste tutt’oggi a feticizzarli.