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Nuovi materiali per l’architettura moderna in tempi di autarchia

autore: Marco Comunian

relatori: Sara di Resta, Guido Zucconi

 

Se si assume la famosa definizione brandiana, parlare di restauro “del moderno” è già di fatto un atto che tradisce un’intenzione. Cioè quella di far assurgere opere, non così distanti temporalmente da noi e che pertanto faticano a vedere riconosciuto un unanime valore, che le faccia appartenere all’aulica cerchia dell’arte.

Questa tesi, posto e assodato l’intrinseco kunstwollen dell’architettura moderna italiana, ne studia e cerca di mettere in risalto la sua “consistenza fisica”. Il fulcro è infatti quella parte sensibile dell’opera d’arte, ovverosia la sua componente materiale, che nel caso specifico dell’architettura è rappresentata da tutto quel catalogo di materiali che conseguono alla sua realizzazione. L’approccio della conservazione di un bene artistico consegue irrimediabilmente anche un contatto con il suo lato materico: è per tale ragione che risulta fondamentale non solo la conoscenza dell’opera in sé, ma anche di ciò che la compone fisicamente.

Avvicinandosi all’architettura moderna con questa convinzione, si scopre che il suo valore di modernità va a dipendere fortemente dai materiali con cui essa viene costruita. In particolare, la corrente razionalista italiana dei primi decenni del Novecento, oltre a venir in contatto con le moderne teorie architettoniche europee, si trova coinvolta in una situazione storica-politica che ne influenza fortemente l’operato. L’ideologia fascista, in termini di politica economica, condiziona notevolmente il sistema industriale e, di conseguenza, anche il settore delle costruzioni: al di là di una certa dose di fanatismo e propaganda, ciò che è indiscusso è che il regime autarchico fascista sarà propulsore di una moltitudine di nuove produzioni, fra le quali un ampio catalogo di innovativi materiali edili. La trattazione si orienta nell’osservare proprio quest’ultimi, cosiddetti materiali autarchici, e il modo in cui essi si trovarono ad esprimere i sentimenti della nuova architettura moderna italiana; un approfondimento non fine a sé stesso, ma che ha il suo télos nella conoscenza della materia dell’opere d’arte con cui lavorarono i grandi maestri dell’architettura italiana.

Dopo la disamina di questi moderni materiali, di cui si cercherà di metterne in luce i valori di novità ma anche le contraddizioni che vivono all’interno della retorica politica, e sempre con un occhio puntato sul loro utilizzo nelle architetture; si analizzerà lo stato di fatto di quelli che furono due veri e propri cataloghi di queste moderne produzioni, il primo Palazzo Montecatini di Gio Ponti e la Sede dell’Università Bocconi di Giuseppe Pagano, cercando di capire se esse permangono e, in tal caso, come proseguirne la trasmissione ai posteri.


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