Autonomia dei corpi mutanti: autoproduzione e spazio sociale nella
Mutoid Waste Company
autrice: Giulia Ferrara
relatrice: Annalisa Sacchi
Se è vero che il cyberpunk è «una massa disordinata di finzioni [...]
rubate al futuro prossimo» dove «il reale e l’irreale si scambiano i
significati» è anche vero che «nella ricerca di una strategia operativa per
vivere la vita» si è fatto portavoce di un materialismo radicale, diventando
premonitore delle future indagini sul corpo (filosofia del cyborg come corpo
mutante, cyberfemminismo, xenofemminismo...) e sulle tecnologie non solo intese
come realtà virtuale ma come tecnica e produzione di artefatti, come
alternativa alla produzione di massa. «A volte è meglio essere che raccontare»,
Bruce Sterling, uno dei principali scrittori e teorici del gruppo, termina così
l’introduzione a Cyberpunk: Antologia Assoluta edito da Mondadori nel
febbraio di quest’anno, nel quale, dopo aver riassunto le principali
caratteristiche e innovazioni del primo cyberpunk letterario statunitense,
parla di quegli «anarchici cibernetici» che si comportavano come i personaggi
dei romanzi, «autentici punk ma con i computer» che ha incontrato a Milano. Si
riferisce al gruppo che ruota attorno alla redazione di “Decoder: rivista
internazionale underground”, fondata nel 1987. I gruppi italiani forse
più degli altri riescono a trovare una concretezza politica nei ragionamenti
cyberpunk, punto fermo della loro analisi è la riappropriazione della
comunicazione da parte dei gruppi sociali. La creazione di reti alternative e
«il saldo radicamento nel circuito dei centri sociali autogestiti» è ciò che
connota la soggettività cyberpunk in Italia. Di grande rilevanza è la relazione
con la scena post-punk e cyber tedesca, e in particolare il Chaos Computer Club
e Klaus Maeck. È a Berlino che alcuni componenti della redazione conosceranno
la Mutoid Waste Company, gruppo di tecno-barbari nomadi proveniente dalla scena
punk e squatter londinese che sarà invitata a partecipare alla XX edizione di
Santarcangelo Festival diretta da Antonio Attisani. “Decoder” e la
Mutoid Waste Company diventano due delle realtà più significative del cyberpunk
italiano ed europeo. Entrambe rivendicano la necessità dell’autonomia dei
corpi cyborg e occupano uno spazio reale e marginale, in opposizione agli
ambienti futuribili e vuoti del cyberspazio (o dello spazio psichico)
letterario e cinematografico. Ci parlano più dell’uomo mobile che del
mobile-uomo, per usare le parole di Franco Berardi. Modi diversi, quotidiani e
concreti, di comunicare corpo e spazio contenuti e tenuti insieme da questo
termine-pastiche che è cyber/punk.
L’analisi delle origini della Mutoid Waste Company e dei suoi
elementi costitutivi (l’attrazione per lo scarto, la rappresentazione di
un corpo cyborg/mutante, l’adattamento ad un ambiente infetto e
l’assemblaggio come unica regola progettuale) ci permette di tratteggiare
le linee di un nuovo materialismo radicale.
Grazie al gruppo nomade posso affermare che la corrente, il movimento e
l’attitudine cyberpunk, nell’intersezione tra esperienze estetiche
e controculturali, può essere intesa come pratica affermativa.
Il presente è diverso dalla preistoria post industriale che si
immaginavano, ma è questa loro sfasatura nei tempi della mutazione a permettere
loro di sopravvivere al sovraccarico, all’inefficienza decisionale e alla
dissoluzione delle forme concrete.
Il primo capitolo indaga la letteratura, il fumetto e la cinematografia
cyberpunk, il secondo le tre componenti fondamentali dello spazio, del corpo
cyborg/mutante e dello scarto; il terzo è un approfondimento puntuale
dell’esperienza mutoide in relazione al territorio di Santarcangelo di
Romagna e il Festival dei teatri.