terza missione | panel 1 e 2
aula L2, ore 10 > 12.30
panel
1.
spin off, start up e imprenditoria innovativa
questioni
1. Come creare una maggiore sinergia fra
spin off universitarie e rapporto conto terzi?
2. Come aumentare il coinvolgimento di
docenti e ricercatori in progetti di imprenditoria innovativa, start-up e
spin-off?
3. Come promuovere e valorizzare i
progetti di imprenditoria innovativa start-up e spin-off?
panel
2.
rapporto conto terzi,
imprese e istituzioni
questioni
1. Come incrementare il
numero di docenti coinvolti in attività di ricerca conto terzi e nella ricerca
commissionata?
2. Come aumentare la
sinergia tra terza missione, didattica, ricerca, dottorati industriali?
3. Come facilitare e
agevolare le attività di ricerca conto terzi e di ricerca commissionata?
restituzione
panel
i panel
sono facilitati dai moderatori Alessandro Caputo e Alessandro Pirani
reporting: Valentina Garuzzo,
Erica Mariani
partecipanti: ai panel erano presenti un numero
minore di partecipanti rispetto a quelli iscritti con qualche nuova aggiunta.
Non tutti hanno compilato i fogli firma rendendo impossibile dare
un’informazione precisa sul numero e i nominativi dei partecipanti
effettivi
Sulla
questione del numero di docenti
coinvolti nella terza missione sono emerse le seguenti considerazioni e
osservazioni:
– all’interno dell’ateneo
viene data sicuramente più importanza ai progetti di didattica e di ricerca,
mentre la terza missione appare non ancora del tutto metabolizzata. Così come
avviene anche negli altri atenei italiani la terza missione ha la difficoltà di
essere trasversale alla ricerca, alla didattica, alla comunicazione, ai
rapporti con il territorio e con i cittadini, cosa che la rende più frammentata
rispetto alle altre missioni;
– la terza missione viene
curricularmente riconosciuta meno rispetto alla ricerca nonostante abbia un
peso rilevante in termini di sviluppo effettivo dell’ateneo;
– non essendo la formazione
all’interno dell’ateneo di tipo ingegneristico risulta più
difficile individuare degli studenti e neolaureati che abbiano le competenze
per poter sviluppare e portare avanti progetti di terza missione rendendo
necessario un maggiore sforzo e una grande dedizione;
– dal punto di vista umanistico sia a
livello di progetti di ricerca internazionale sia a livello di traduzione per
il grande pubblico la difficoltà maggiore risiede nella necessità di adattare
il linguaggio a un pubblico che non è specialista. Per un docente abituato con
un proprio linguaggio e un proprio pubblico di esperti molto spesso
selezionato, può essere difficile riuscire a trasferire la mole delle
conoscenze e lo sforzo che si è fatto nella ricerca con una terminologia che
sia accessibile a tutti e che consenta di far sì che il pubblico percepisca il
risultato della ricerca come un qualcosa che gli è proprio. A livello europeo
molto spesso viene sottolineata la necessità che il risultato della ricerca
debba essere trasferito alla comunità, perché è la comunità che finanzia quel
progetto. Quindi uno degli obiettivi che
devono essere presi in considerazione nel momento in cui si fanno attività
come cicli di conferenze, incontri con il grande pubblico, protocolli di intesa
con le istituzioni che lavorano sul territorio, riguarda la restituzione al grande pubblico di quella che è
l’attività che viene fatta;
– la terza missione è uno degli aspetti
più interessanti del lavoro all’interno di un ateneo, perché una delle
missioni principali dei docenti è quella di restituire alla società quello che
viene fatto. Il problema principale è che quando si lavora con il territorio
bisogna avere qualcosa da offrire al territorio stesso, un servizio che sia
utile e direttamente applicabile. La necessità di offrire un servizio
applicabile risulta però scollegata dal lavoro del docente che spesso ha
caratteristiche più lungimiranti, aspetto che può far apparire la terza
missione come qualcosa di meno importante rispetto alla ricerca. Il lavoro di
un docente è quindi quello di fare ricerca lungimirante, tradurla in servizi
applicabili subito, imparare da queste esperienze e insegnare agli studenti
quello che si è imparato, creando così un processo circolare;
– nell’abilitazione scientifica
nazionale per alcune aree disciplinari oltre alla partecipazione alle ricerche
finanziate da enti esterni e dalla Comunità Europea è prevista una voce che
riguarda la partecipazione a convenzioni che devono avere come requisito che
siano esitate in pubblicazioni. Quindi il fatto di aver partecipato a una
convenzione tra università e enti esterni e di averne assunto la responsabilità
viene riconosciuto nel momento in cui i risultati della ricerca vengono
trasferiti in una pubblicazione che abbia le caratteristiche richieste (numero
ISBN, essere in fascia A, ecc.). Il punto critico risiede nel fatto che molto
spesso le convenzioni hanno dei tempi di attuazione piuttosto ristretti (di
norma di un anno) che prevedono l’attivazione di un assegno di ricerca
per quel periodo. Sul lavoro di un anno non risulta semplice costruire una
pubblicazione che abbia lo spessore necessario per rispondere alle
caratteristiche richieste;
– per disseminare i risultati dei
progetti di ricerca e degli spin off è
necessario coinvolgere le realtà che si occupano della pubblicazione all’inizio del progetto e non alla
fine, altrimenti risulta molto difficile rispettare i tempi. Per alcune
ricerche si è proceduto in tal senso con la partecipazione di coloro che
dovevano occuparsi della pubblicazione come partner lungo tutta la filiera del
progetto, in modo da riuscire ad avere dopo un anno una pubblicazione cartacea
o digitale;
– in alcuni settori è possibile
rovesciare il tema della terza missione andando a cercare i soggetti e i casi
con cui sperimentare le varie pratiche. Da questo punto di vista esiste
all’esterno una domanda molto ampia che permette di scegliere i casi su
cui sviluppare progetti di terza missione che portino però anche a dei
risultati di ricerca. Senza il rapporto di terza missione sarebbe impossibile
sviluppare lo studio di casi specifici con effetti di raffinatezza dei prodotti
e di efficacia di ricerca;
– nel settore della progettazione
architettonica e urbana uno dei temi di maggiore complessità rispetto alle
attività di terza missione riguarda il rapporto con gli ordini professionali.
Quando ci si muove all’esterno dell’università in questi settori è
possibile che si generi una conflittualità con la libera professione tutelata
dagli ordini, una competitività percepita come illegittima in termini
deontologici. Questa questione andrebbe chiarita perché all’esterno non
si sa bene cosa sia la terza missione dell’università.
Anche uno
spin off potrebbe essere un elemento conflittuale in particolar modo in quei
settori in cui le attività dello spin off entrano in relazione con gli ordini;
– per alcuni settori disciplinari, come
quelli legati alla tecnologia dell’architettura, è importantissimo avere
come interlocutori le aziende. La terza missione viene utilizzata per
dialogare, per far sapere che l’università è in ascolto, rovesciando il
gioco tra le parti pur avendo ben chiare le proprie strategie e gli obiettivi
di lavoro. Questo fa emergere una serie di desiderata delle aziende che sono
contingenti, ma che attraverso il dialogo con le università possono vedere
orizzonti più lontani. Su tali orizzonti è possibile costruire sinergie tra
aziende anche tra di loro competitive che quelle sinergie non pensavano di
averle. L’università è uno
strumento che le aziende possono usare per allargare le proprie prospettive
al di là del fatturato. Bisogna però stare alle regole dell’azienda dando
una rapida risposta e garantendo una presenza costante e per far questo è
importantissimo fare gioco di squadra tra i vari soggetti coinvolti
all’interno dell’ateneo;
– esiste un tema di fondo di
motivazione relativamente anche ai percorsi di carriera. Certi meccanismi di
equiparazione del valore di percorsi di collaborazione con le imprese e di
esportazione dei risultati della ricerca difficilmente potranno prendere delle
dimensioni molto importanti se non vengono equiparati ad altre attività come
quelle della didattica e della ricerca.
Dall’altra
parte si tende sempre a pensare alla terza missione come a una serie di
prodotti da proporre alle imprese senza pensare che la vera questione è quella di capire i loro fabbisogni. Il problema
si complica ulteriormente se si pensa che molte imprese non sono a conoscenza
di quello di cui hanno bisogno. Il tema
quindi è quello di far emergere un certo tipo di domanda e di definire delle
possibili risposte. Esiste poi un tema di linguaggio, di orizzonte
temporale e di capacità delle aziende di riportare le proprie esigenze e
necessità.
Bisogna
riuscire a innervare un canale che permetta di avere il posizionamento
dell’università come componente del territorio e del tessuto
socio-economico.
È importante costruire un sistema di ascolto
anche attraverso la federazione con altri soggetti.
Si deve poi
tener conto che i docenti non nascono come imprenditori e che la questione non
è solo quella di far nascere uno spin off, ma di avere gli strumenti per farlo crescere.
Per far questo uno degli strumenti
possibili da utilizzare è quello del matchmaking tra spin off e imprese che si
occupano degli stessi settori. Una commessa data a una start up innovativa
da parte di un’azienda ha almeno il 60% di immediata detraibilità fiscale
cosa che costituisce un buon elemento di marketing da utilizzare verso le
imprese. Gli spin off possono essere un grandissimo veicolo di terza missione
proprio in questa logica;
– potrebbe essere interessante anche
ripensare il rapporto con i singoli studi di progettazione, avviare relazioni
in fase di ascolto allo stesso modo che con le imprese anche attraverso gli
ordini come un’occasione di rilancio per rapportarsi con i singoli studi
professionali che nel territorio hanno problemi concreti su cui un lavoro di
terza missione potrebbe essere svolto. Un lavoro non facile, ma di grandissima
utilità sarebbe l’organizzazione
di un sistema di ascolto centralizzato che metta insieme la conoscenza delle
competenze di ricerca applicata dell’ateneo rispetto ai temi del progetto
territoriale, architettonico o del dettaglio dei sistemi costruttivi con gli
ordini e direttamente con gli studi;
– si fa più fatica a fare terza
missione o ad aprire uno spin off perché richiede un grande impiego di tempo e
bisogna essere motivati a fare questo tipo di lavoro che si aggiunge alle
normali attività di didattica e di ricerca che un docente fa.
Oltre ad
ascoltare i bisogni delle aziende sarebbe utile coinvolgere anche gli enti
locali per capire le loro esigenze. Bisognerebbe riuscire a strutturare delle
postazioni radicate sul territorio che possano aiutare nel creare delle
relazioni per poi produrre dei prodotti e dei servizi a supporto degli enti
territoriali;
– l’elemento in comune alle tre
missioni è il concetto di conoscenza.
La terza missione è caratterizzata dalla generazione di forme di conoscenza
utili per l’azione. La declinazione della terza missione come
“imprenditorialità”, se limitata al rapporto dell’università
con le imprese è piuttosto obsoleta; dagli anni ’80 in letteratura alla
luce delle pratiche diffuse in contesti nord europei e americani si discute
dell’università imprenditoriale, dell’imprenditorialismo
del settore pubblico e della finanziarizzazione del governo locale. I governi
da un decennio sperimentano l’azione di strumenti per esempio di social
impact investing per la risoluzione di problemi
pubblici, che si basano su partnership tra social providers, autorità
pubbliche, centri di competenza esperta, soggetti finanziari, filantropici,
ecc. In generale la sperimentazione di partnership pubblico-privato multiattoriali è nella traiettoria di sviluppo di molte
politiche pubbliche da decenni. Nella terza missione è centrale il rapporto
delle università con le imprese, ma anche l’interazione tra gli attori
istituzionali (sistema pubblico) e la società civile (cinque eliche). La terza missione produce una conoscenza
che si genera nell’interazione tra territorio e università;
– i lavoratori impiegati nella filiera
di produzione della terza missione (ricercatori, collaboratori etc) devono essere inquadrati in una catena del valore. Il
mondo della terza missione non ha un inquadramento e necessita di un
riconoscimento nell’attribuzione dei fondi per la ricerca. Senza questo
la dimensione della terza missione rimane a un livello amatoriale, volontario e
non professionale. Servono pertanto le infrastrutture di inquadramento e lo
spazio di azione;
– il sistema dei laboratori Iuav
comprende tre laboratori di azione verso l’esterno che in ambiti diversi
svolgono attività di terza missione riuscendo a restituire abilità, competenze
e capacità sviluppate all’interno dell’ateneo nell’ambito
della ricerca verso il territorio. I tre laboratori hanno una struttura
formalizzata a interagire con l’esterno. Un ulteriore elemento è stato
quello di mettersi in rete con un intermediario per avviare il rapporto con le
aziende considerata anche la diffidenza che in alcuni casi le imprese hanno nei
confronti dell’università. Anche all’interno di Fondazione Iuav ci
sono alcune persone che hanno competenze nell’ambito del rapporto con le
aziende che possono supportare le attività di terza missione;
– per tutte quelle discipline che si
occupano del territorio in tutte le sue forme (da quelle più descrittive a
quelle più progettuali) che non si possono definire pienamente umanistiche né
scienze dure, il rapporto con il territorio non si esaurisce con le aziende, ma
ha un enorme potenziale prevalentemente nel rapporto con gli enti pubblici.
Quello che
all’interno dell’ateneo viene fatto in maniera individuale e
dispersa è proprio il lavoro di ascolto e di comprensione di qual è la domanda
di ricerca che proviene dal territorio e la piattaforma potrebbe svolgere
questo ruolo.
Sugli spin off sono emerse le
seguenti questioni:
– alcuni atenei hanno dei programmi di
spin off più efficaci: gli spin off del Politecnico di Milano ad esempio sono
dei laboratori di ricerca, mentre all’Università Iuav sono delle società
perlopiù indipendenti che collaborano.
È possibile
iniziare un lavoro all’interno di Iuav di valorizzazione degli spin off dal punto di vista
dell’immagine e della visibilità verso l’esterno. Al momento per
un’azienda essere uno spin off non garantisce un grande beneficio, non dà
una visibilità effettiva. È possibile utilizzare il nome Iuav, ma non c’è
un riscontro nella comunicazione Iuav, aspetto sul quale si potrebbe lavorare
molto. Gli spin off accreditati presso Iuav devono diventare una parte
dell’ateneo e come tale devono essere uno degli strumenti della terza missione
considerato che si tratta di aziende che lavorano sul territorio;
– quando si parla di spin off si parla
di società indipendenti che hanno tutta una serie di necessità anche legate a
questioni di privacy (segreto e riservatezza di impresa), mentre
l’università ha tra i suoi obiettivi quello di diffondere
l’attività di ricerca. Non a caso con l’università i docenti
sviluppano attività di ricerca mentre con gli spin off, partendo da progetti di
ricerca già conclusi si possono fare attività con finalità differenti di tipo
professionale. Se ci si rivolge all’università lo si fa per fare
un’attività di ricerca che ha delle finalità pubbliche e divulgative che
devono incrementare la conoscenza, mentre se ci si rivolge a uno spin off ci si
occupa di un’attività differente da società a società
– rispetto alla sostenibilità degli
spin off una delle difficoltà è di capire come rendere sostenibile non tanto il
trasferimento di un prodotto, ma di un servizio. Avere un supporto da parte di
qualcuno che riesca a capire come aumentare il fatturato di uno spin off che
non è più sostenibile sarebbe un servizio importantissimo.
Bisogna
inoltre tenere presente che anche i master risultano molto collegati alle
attività degli spin off e sarebbe molto utile riuscire a fare un lavoro di connessione tra questi due
mondi per rendere entrambi più efficaci. La rete di aziende attivata
all’interno di alcuni master chiedono una serie di servizi che si
potrebbero dare attraverso uno spin off capendo bene come commercializzare quel
tipo di prodotto
– sarebbe utile avere degli spazi di
relazione anche fisici all’interno dell’ateneo in cui, se si ha un
problema che può essere affrontato con una delle start up che esistono, si
possa andare a parlare con i soggetti interessati;
– avviare uno spin off o una start up
vuol dire iniziare un business avendo delle conoscenze dal punto di vista
finanziario e legislativo. Per agevolare l’entrata dei docenti in questo
ambito e per affrontare questi aspetti è quindi importante che i docenti possano
accedere a una formazione per
l’attività di business. In questo senso la capacità di supporto da
parte dell’ateneo per la formazione e il coordinamento sono fondamentali.