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Ricordo di Carlo Aymonino

 

Il 4 luglio 2020 ricorre il decimo anniversario della morte di Carlo Aymonino, una figura centrale della nostra Scuola.

Pubblichiamo l’abstract di una conferenza di Renato Bocchi dedicata all'elaborazione teorica sulla progettazione architettonica di Carlo Aymonino, che si tenne nell'auditorium di Santa Marta, all'interno di un ciclo sull'apporto dei maestri Iuav nel 2012.

 

 

Renato Bocchi
conferenza del ciclo “4 maestri della Scuola di Venezia”
Carlo Aymonino. Per una ricerca di progettazione
giovedì 17 maggio 2012

 

scarica il testo completo e illustrato della conferenza >>

 

 

 

 

Carlo Aymonino, Autoritratto preoccupato per l’architettura

 

 

Abstract

 

1. L’architettura come fenomeno urbano

 

È una caratteristica fondamentale degli studi di Carlo Aymonino il "considerare l’architettura come fenomeno urbano per eccellenza".
Il carattere fondamentale dell’architettura cui si guarda è la sua qualità urbana, la sua capacità di dialogo con il contesto, la sua capacità di "porsi di volta in volta in rapporto a (ad altre architetture esistenti, a un determinato paesaggio, a un sistema di infrastrutture, etc.), di essere parte compiuta di un processo in divenire" (Aymonino, 1975). Non stupisce allora che l’approccio privilegiato all’architettura - secondo questa specifica angolazione - si fondi sull’analisi della città.

 

2. I rapporti tra tipologia edilizia e morfologia urbana

 

Nel metodo analitico proposto da Carlo Aymonino l’individuazione dei rapporti tra tipo edilizio e forma urbana e dei loro mutamenti nel corso della storia è elemento determinante per comprendere le leggi formative e trasformative della costituzione fisica (ma attraverso questa, anche politico-economica) delle città. L’analisi proposta ha un duplice intento:
1) di conoscenza (per comparazione di singoli fenomeni urbani) dei processi culturali e delle condizioni materiali connessi con la costruzione fisica delle città nelle varie epoche storiche e, pertanto, di contributo “disciplinare” da parte dell’architetto ad una più generale “storia della cultura materiale” nei processi di costruzione urbana;
2) di conoscenza (per lettura diacronica delle vicende storiche di una città) dei processi di stratificazione e trasformazione delle strutture urbane di una singola città e, pertanto, di contributo “disciplinare” da parte dell’architetto ad una “storia urbana” riferita alle singole situazioni geografiche.

Emerge da questi studi la volontà di prendere coscienza e possibilmente proporre il controllo, in ogni processo trasformativo, degli esiti “conformativi” sulla città che l’intervento architettonico produce.

 

3. Parte di città e dimensione architettonica

 

Un’ulteriore acquisizione di metodo della ricerca di Aymonino negli anni ’60-‘70 riguarda la questione della “parte di città formalmente compiuta”.

Il riconoscimento del “compimento” di tale processo di formalizzazione in una parte di città porta a cristallizzarne il valore nel processo storico e quindi ad attribuirle un giudizio di intangibile permanenza nella struttura di relazioni fisiche d’una città. La “parte di città formalmente compiuta” si propone perciò a pieno titolo come “fatto urbano”, presa nella sua globalità.
E in quanto tale, quell’entità che Aymonino definisce “dimensione architettonica” tende in molti casi a coincidere con la parte stessa, data l’assoluta unità raggiunta dalla parte medesima, che annulla di fatto il valore formativo nella città dei suoi singoli elementi costitutivi, come in una sorta di processo chimico di composizione irreversibile degli elementi verso la costituzione di particelle complesse dotate di una propria identità, distinta da quella degli elementi componenti singoli.

Nella teoria che ne consegue di una progettazione della città per parti, alla “dimensione architettonica” è dunque affidato il compito della definizione formale di interi pezzi compiuti della città, dotati di una precisa identità. Tale teoria viene applicata così alle parti nuove come a quelle esistenti, dando luogo perciò alla possibilità di scomporre in sede critico-progettuale la città esistente in parti compiute o da completarsi.

Una pratica applicazione si trova nei progetti degli anni ’60, dove l’intervento si spinge verso la “città come tutta architettura” e quindi verso una sorta di dimensione megastrutturale dell’architettura, ma si stempera in una nozione molto più elastica e articolata successivamente, con la messa a punto della categoria operativa dell’”area-progetto” nel Piano del Centro Storico di Pesaro.

 

4. Il rapporto fra analisi urbana e progettazione architettonica

 

Il rapporto fra analisi urbana e progetto è concepito come non affatto meccanico, ma dialettico.
Ciò che è più interessante di questo approccio è l’assunzione della “dimensione architettonica” come una sorta di strumento di lettura utilizzabile non solo nei confronti di singoli manufatti ma anche e soprattutto nei confronti di forme urbane a più vasto raggio: il che sostituisce di fatto alla lettura della città come sommatoria di edifici (aggregazione di tipi edilizi) una lettura della città come sommatoria di sistemi architettonici unitari, che a seconda dei casi possono avere una scala edilizia o una scala urbana, ma di cui è possibile cogliere comunque una identità ovvero una “unità architettonica” ed uno specifico ruolo nel contesto delle relazioni urbane.
Il progetto della città (per parti) può allora avvenire attraverso il progetto di individuazione e compimento di tali parti e attraverso la loro messa in relazione reciproca.

Il quartiere del Gallaratese a Milano offre l’occasione di sperimentare concretamente tale teoria, ed è anche il progetto in cui emerge definitivamente l’importanza per A. della sezione come strumento principale di ideazione dell’architettura e in cui la rete di circolazione e degli spazi urbani diviene il sistema portante dell’architettura e perciò stesso il dato decisivo della sua forma.

Significativo inoltre nel metodo di A. è l’uso di modelli precostituiti in funzione progettuale, come p.es. l’utilizzo del progetto dell’ospedale di Mirano, assunto come modello progettuale per indagare altre situazioni come quelle del campus scolastico di Pesaro.

Aymonino cerca nell’esistente le stratificazioni e tende ad aggiungere altre stratificazioni attraverso il progetto, per creare – potremmo dire – una "unità nella complessità".

Questo procedimento si può cogliere in molti suoi progetti, fin da quello per il Teatro Paganini a Parma del 1964. Nei riguardi del contesto, l’architettura aymoniniana gioca perciò sempre, di fatto, un ruolo reintegrativo, e lo fa tuttavia con un atteggiamento assolutamente disincantato, capace di appropriarsi delle preesistenze ai fini della rinnovata identità del progetto della parte di città.