Undergraduate and graduate programmes offered by the University iuav of Venice:

 

Por dentro y por fuera. Studio intorno agli approdi estetici del baile flamenco.

autrice: Marika Francesca Vecchione

relatrici: Sacchi Annalisa, Caleo Ilenya

 

Mi propongo di camminare a piedi nudi in quell’ampio torrente d’inchiostro che separa due fazioni, sperimentando la densità di queste acque torbide e godendomi l’ubiqua sensazione di stare contemporaneamente dentro e fuori. Al posto giusto e fuori luogo. Al posto giusto come chi, forte della pratica, sa di avere qualcosa da raccontare. Fuori luogo come chi guarda verso altri orizzonti mentre tutti gli altri si fossilizzano sui confini ormai saturi e quasi sterili del proprio orticello. Mi propongo di provare a nutrire la materia anche da fuori, proprio mentre nella fazione opposta non si fa che prosciugare le risorse della stessa da dentro, dimenticando che l’autarchia è cagionevole e difficilmente gode di lunga vita.

La materia, l’oggetto in questione, è il baile flamenco, i cui primi passi ufficiosi si collocano entro i confini degli spazi saturi e claustrofobici - nonché criminosi e lussuriosi - dei cafés-cantantes. In particolare, tra gli omicidi e le passerelle di carne femminile che lì si vedono accadere e su cui, tra i secoli XIX e XX, la cronaca poggia i propri esercizi di retorica, si consumano discorsi razzisti, classisti, anti-gitanisti e anti-flamenchisti. Cominciano, inoltre, a prendere più nettamente forma sia la fazione che vuole ergersi in difesa della cosiddetta tradizione che quella, al contrario, più eterodossa. Ma sopra ogni cosa, in materia di baile, si fa spazio la logica castrante (e tradizionalista) del binarismo di genere, la quale arriva a smembrare letteralmente i corpi dei danzatori lungo un immaginario asse orizzontale da situarsi all’altezza del bacino. Così, da un lato s’incontra il baile arioso, morbido e di sole braccia delle donne, la cui qualità di presenza si misura dal loro essere carne; dall’altro, invece, il baile posato, elegante, lineare e osseo degli uomini, i quali preferiscono costruire coreografie capaci di puntare soprattutto sui virtuosismi percussivi dei piedi. Tuttavia, in tale severa scrittura gerarchica dei corpi, che può tradursi più brevemente e rispettivamente come la “dittatura della rosa” e “l’iper-fallicità”, è pur sempre rinvenibile una punteggiatura fatta di tutti quegli elementi decostruttivi, capaci di porre le premesse per una totale sovversione dello status quo. L’emancipazione femminile prima e quella maschile poi, infatti, diventano il trampolino di lancio per una queerness tutta flamenca, su cui fondare un baile assolutamente individuale, in cui il binarismo oppositivo proprio della logica eteronormata conosce una nuova linfa in quello completivo della logica travestista. In ciò che è ormai diventato il baile flamenco contemporaneo, infatti, tutto è perfettamente fuso e confuso. O meglio, è Altro. Un Altro che mette in crisi la tradizione, la quale a sua volta, in tutta risposta, non solo chiede per esso un nuovo battesimo, ma arriva finanche a negargli “lo spirito occulto della dolente Spagna”, ovvero la chiave della sua dimensione estatica ed entusiastica: il duende.

Tuttavia, l’unico orizzonte possibile per il baile flamenco contemporaneo è inscritto interamente nel duende.

Esso incarna in assoluto l’aquila dell’antica leggenda indiana: si è strappato coraggiosamente le piume, gli artigli e il becco e ha guardato più chiaramente in faccia la morte al fine di scegliere nuovamente la vita. In altre parole, si è sbarazzato dell’abito che lo costringeva in un’immagine precisa, dalle forti connotazioni di genere; ha superato il pregiudizio di una vacuità attorno alla destrezza tecnica, per trasformarla in un virtuosismo capace di far sanguinare i piedi; infine, si è fatto solcare e scavare il viso dal dolore, perché nell’apice massimo di dolore si inscrive la promessa di un dolce sollievo estatico. E tutto ciò non può che accadere in un luogo separato (e perciò sacro), simile all’altura sulla quale si va a rifugiare l’aquila per intraprendere il suo percorso di rinascita: lo spazio scenico.