Undergraduate and graduate programmes offered by the University iuav of Venice:

per Leonardo Benevolo

 

 

5 gennaio 2017

 

Si è spento a Cellatica all’età di 93 anni Leonardo Benevolo, per molti anni docente dell’Ateneo.

 

La comunità Iuav lo ricorda.

 

Leonardo Benevolo ci ha lasciati pochi giorni fa, serenamente in casa sua, all’età di 93 anni, ci mancherà un uomo, gentile, mite e sorridente. A Venezia aveva dedicato i suoi più importanti sforzi, il Piano e il rapporto Unesco, e all’Università Iuav di Venezia aveva trascorso buona parte della sua vita accademica.

 

Leonardo Benevolo, come riporta ogni quarta di copertina dei suoi libri, è stato tra i più noti studiosi italiani di architettura e tra quei pochi nomi d’architetti italiani contemporanei conosciuti all’estero. È impressionante pensare al numero di persone che si sono formate, in ogni parte del mondo, leggendo i suoi libri tradotti in tredici lingue. Meno noto oggi è che l’architettura, lo studio, la professione, l’impegno civico si sono legate strettamente nella sua lunga vita. In uno degli ultimi suoi libri ,“La fine della città”, a cura di Francesco Erbani, la formula dell’intervista permette a Benevolo, di spaziare e mettere in connessione, autobiografia e politica urbanistica, ricordi professionali e progresso democratico del paese, impegno civile e le attese per il futuro della disciplina architettonica. Benevolo in questo libro, parla di se, dei suoi inizi nella Roma degli anni Cinquanta e di essere stato testimone del passaggio e della continuità tra le strutture del potere accademico e professionale del Ventennio e quelle del dopo guerra.

 

Ci racconta il suo lungo, difficile e conflittuale rapporto con l’Università italiana che è finito con una sua, ancor oggi, discussa uscita nel 1976. Benevolo ricorda la stagione del centro sinistra nei primi anni Sessanta e il dibattito urbanistico italiano, dominato dalla proposta di riforma di Fiorentino Sullo. Ci racconta i rapporti e l’amicizia con Luigi Bazoli e il loro “laboratorio sperimentale di urbanistica” di Brescia negli anni Settanta. Segue la stagione dei piani, le esperienze dei Fori Imperiali a Roma, quelle di Palermo e di Venezia che sono i tentativi compiuti per imporre una progettazione delicata, debole, che pesi poco sull’ambiente e che abbia un passo leggero.

 

Benevolo ha scritto tantissimi libri, 452 diverse edizioni sono raccolte dall’Istituto Centrale per il Catalogo Unico, redatto importanti progetti e piani urbanistici e ogni suo nuovo sforzo è stato sempre indirizzato alle future generazioni.

 

Non pretendiamo che i giovani si appassionino alla oscura e mefistofelica figura di Arnaldo Foschini, tanto importante per Benevolo e neppure che comprendano il valore delle sottili operazioni di ridistribuzione delle risorse legate alle tecniche amministrative della urbanizzazione pubblica, che sono state il pivot centrale del suo pensiero operativo.

 

Ad altro dobbiamo guardare e altro dobbiamo pretendere che i giovani assimilino e basterebbe davvero la coscienza del valore civico della progettazione del territorio di cui Benevolo ci ha fatto partecipi.

 

È la coscienza del valore comune, del bene collettivo, che è ormai sparito da ogni agenda politica, da ogni programma elettorale e anche da ogni preoccupazione collettiva, da ogni discorso e da ogni blog giovanile. Quella di Benevolo è stata la dimostrazione concreta dell’esercizio di una ginnastica civica oggi ormai sconosciuta.

 

Dalla sua vita traspare che fare l’architetto è una scelta etica, che comporta sacrifici e delusioni, ed è chiaro un insegnamento profondo, il lavoro in architettura è l’avere cura del bene comune, è l’affermare la superiorità del valore civico alla realizzazione artistica personale. È difendere con determinazione la banalità e la normalità del bene. Questo si traduce in politiche e pratiche: difendere l’ambiente, stabilizzare gli abitanti nel territorio, tutelare i nuclei centrali delle città e il loro restauro, evitare il consumo di suolo, equilibrare gli interessi pubblici e privati ricercando il pareggio delle iniziative pubbliche.

 

Sempre Benevolo affrontava le cose con mitezza e con un impenitente ottimismo, la “fine della città” rappresentava per lui l’inizio di qualcosa d’altro, un nuovo ambiente che altri avranno il compito di comprendere, descrivere, poi eventualmente curare e mantenere.

 

È un passaggio di mano che però si mostra alquanto incerto e difficile, ma è la sfida che Leonardo ha rivolto a tutti noi e di cui ci sentiamo responsabili.

 

Benno Albrecht

 

 

leggi l’articolo di Francesco Gastaldi su Il Foglio >>