Undergraduate and graduate programmes offered by the University iuav of Venice:

per Paolo Santacroce

 

 

17 giugno 2016

 

Si è spento il 16 giugno

Paolo Santacroce.

 

I docenti Iuav lo ricordano.

 

 

L'Università Iuav di Venezia ricorda Paolo Santacroce, per molti anni docente dell'Ateneo.

A quanti lo hanno conosciuto per la sua professionalità, cultura e grande umanità e impegno mancherà molto.

 

 

Ricordiamo Paolo Santacroce per le sue capacità di ricerca e di insegnamento, per la sua appassionata visione della geografia e della  storia, per i lavori compiuti nei Paesi in via di sviluppo e in particolare  per gli studi sulla food security, riconosciuti a livello mondiale, per il suo impegno etico e la sua profonda umanità.

Crediamo che ciascuno di noi abbia ricevuto qualcosa d'importante da Lui e che ne conservi un caro ricordo.

Ci ritroviamo lunedì 20 giugno alle ore 11 al cimitero di S. Michele in Venezia per il commiato.

 

Augusto Cusinato e Matelda Reho

 

 

Qualche passo insieme in Etiopia…

 

Con Paolo ho condiviso un lungo anche se discontinuo percorso in Etiopia a partire dai primi anni ’80. Contemporaneamente al Censimento Nazionale del CSO nel 1984, Paolo lanciò una survey demografica su un consistente campione di famiglie con l’ausilio della Socio-Demographic Unit dell’Ufficio di Piano dell’Addis Ababa Master Plan, allora guidato da Paolo Ceccarelli e da Tekeste Adherom. Fu un lavoro complesso, che diede importanti informazioni (altrimenti irreperibili) su struttura e dinamica della popolazione e delle migrazioni interne, su bisogni e domande sociali di una città splendida e bloccata da un regime filo-sovietico. Ma ciò che ricordo con una certa allegria è che Paolo non si vedeva mai nelle ore d’ufficio e Hadgu Barriagaber, la sua controparte tigrina, se ne lamentava.

Di giorno studiava il russo e visitava i dintorni; di notte veniva in ufficio, libero di mettere sotto stress il calcolatore ben calibrato da Francesco Gosen controllando i dati, testando ipotesi, incrociando, disegnando grafici, cercando di capire.

Lavorava come demografo, non certo improvvisato, ma si vedeva che il suo interesse era già altrove. Quando poteva lasciava la capitale con 5-6 ruote di scorta per lunghi viaggi nelle zone rurali e pastorali, dalla dega alla weyna dega fin giù in basso, nella calda kolla. E lì cercava di capire come funzionava la vita, come le culture secolari di contadini e allevatori avessero consentito autonomia e indipendenza al paese, con un approccio che potremmo definire ‘etnografico’ a tutti gli effetti.

Ricordo la sua teoria termica sui sassi lasciati nei campi e sull’importanza della delicata puntura al gracile top soil, in opposizione anche a modeste arature.

Egli dimostrava con evidenze forti e accattivanti (spesso documentate con splendide fotografie) come la biodiversità colturale fosse esito di intelligenti e lenti processi di adattamento ai cambiamenti climatici stagionali e di lungo periodo, agli effetti della deforestazione causata principalmente dalle città in lenta espansione; ma riconosceva come fosse anche un modo per affrontare i rischi di siccità, e quindi la penuria alimentare ciclica, nonostante l’effetto combinato di due potenziali raccolti dovuti al doppio regime delle piogge nel Corno d’Africa.

Usava con tristezza la parola ‘carestia’, perché la riteneva un prodotto umano e non naturale, una vergognosa scusa, una specie di ‘bestemmia’.

Per Paolo era l’esito drammatico di errori nelle politiche agrarie, nelle forme di cooperazione forzata, nella selezione delle sementi, nelle tecnologie più moderne di lavorazione, nei meccanismi di scambio urbano-rurale e di prelievo del surplus agricolo, dove c’era, quel poco che c’era.

La fame era causata da madornali errori umani e da scelte politiche oppressive e discriminanti, spesso fatti passare per inevitabili percorsi di progresso, con impatti drammatici sulla condizione dei più deboli, soprattutto donne e bambini. E così, nelle sue indagini sul campo in zone ‘al limite’ (ben oltre la marginalità restituita da differenze misurabili) faceva emergere qualcosa di verde e blu anche dove dominavano polvere e sassi.

Una volta con gli studenti Iuav ha restituito il canto ad un profondo pozzo inclinato (non verticale) in disuso, con una tecnica semplice ma ingegnosa, per la felicità di esseri umani, animali e vegetali.

Ricordo i suoi lavori durante gli stage della Scuola Pvs dello Iuav (guidata da Marcello Balbo) e le campagne di indagine per la FAO nel Wollo (dove aveva già lavorato il grande geografo Mesfin Wolde Mariam), nel Tigray, nell’Elkere, lungo i bordi dell’acrocoro etiopico, là dove si stempera verso la depressione dankala e che Paolo conosceva bene anche per il periodo trascorso a Djibouti. In quei contesti, riusciva a riconoscere la forza dell’uomo, e soprattutto della donna, e metteva in guardia chiunque volesse ‘dire di sapere’: amministratori e tecnici locali, studiosi e scienziati con cui si confrontava con franchezza e durezza mettendoli di fronte a pesanti responsabilità e dubbi.

Durante le indagini sul campo viveva con i contadini e gli allevatori, ma non riuscì mai a mangiare e a bere come loro. Si portava le sue scatolette, i suoi yogurt e lo prendevo in giro per questo.

Questo suo essere nei luoghi, tenendo insieme comportamenti umani e geografia, gli ha consentito di compiere un’operazione difficile e che riesce a pochi: usare con accortezza le nuove tecnologie satellitari di osservazione della terra per monitorare e valutare i cicli vegetativi. Ispirò così il generoso e compianto Silvio Griguolo di Addapix nell’applicazione delle tecniche di classificazione numerica alle immagini satellitari (che consentono il time profile clustering). Oggi quel dispositivo misto è diffuso e utilizzato a livello internazionale, è apprezzato e in continua evoluzione per la disponibilità di dati sempre più precisi. Ma l’aspetto interessante è la sua calibrazione a terra che richiede una profonda e vissuta conoscenza dei contesti. È un esempio eccezionale di analisi quali-quantitativa, un uso direi ‘scalzo’ e promiscuo delle tecnologie più avanzate.

Paolo ci ha insegnato a camminare con l’uomo e la donna per capire e rappresentare alcune parti del nostro pianeta.

Ci ha aiutato a scoprire come la terra, per il suo valore intrinseco, possa resistere all’ingiustizia.

 

Domenico Patassini

 

 

Nel 2006 scelsi di frequentare a Venezia il Master in Cooperazione Internazionale attratta più che altro dall'indirizzo "Sicurezza Alimentare". Quando mi resi conto di essere l'unica iscritta di quell'anno interessata all'indirizzo in questione rimasi per un momento spiazzata, certa che il corso di mio interesse non sarebbe mai stato attivato.

Ma il mio sconforto durò poco, perché Paolo propose di attivare la specializzazione in "Sicurezza Alimentare" anche se fossi stata l'unica iscritta.

Mi sono così ben presto ritrovata, unica studentessa, calata in un duro percorso di studio taylor made in cui Paolo fu pressoché il mio unico docente. In una manciata di mesi mi insegnò, con grande determinazione e zelo, più di quanto io abbia mai appreso in qualsivoglia altro corso di studi. Non mi trasmise solo la didattica, ma anche parte della sua dedizione e passione per un mestiere tanto bello e difficile.

È stato il "mio" Insegnante.

Mi piace dedicare a lui e alla sua famiglia questo pensiero di S. Agostino:

"Coloro che amiamo e che abbiamo perduto non sono più dove erano ma sono ovunque noi siamo"

 

Per sempre grata

Marta Rudello

 

 

Un collega schivo, generoso e impegnato che ha contribuito alla caratterizzazione sociale e disciplinare dell'Iuav.

Pasquale Lovero

 

 

Non sono riuscita a venire al funerale di Paolo Santacroce e tuttavia, o proprio per questo, sento il bisogno di dire qualcosa su che persona è stato, per quello che ho conosciuto.

È stato il mio Professore, al master PVS dello Iuav, anni 2001-2002.

Per lui l’approccio multidisciplinare era una vera e propria necessità: metteva insieme telerilevamento, nutrizione, antropometria e agronomia per afferrare le chiavi del funzionamento dei sistemi agro-ecologici locali, con ogni mezzo.

Ma in quel periodo era concentrato soprattutto sui meccanismi, molto concreti, con cui le famiglie rurali fanno fronte alle sfide della povertà: i semi, la stagionalità, i prezzi, le spese impreviste.

La cosa che mi ha lasciato con più passione è proprio l’idea di ricercare la prospettiva della persona povera, o vulnerabile, nella sua razionalità e nei saperi su cui si basa.

Quando Santacroce ti spiegava perché il contadino vende il suo prodotto subito dopo il raccolto, malgrado i prezzi siano bassi, non solo capivi quanto i meccanismi dei mercati possano essere penalizzanti per i poveri, ma capivi che al posto suo avresti fatto la stessa identica cosa. Questo è importante in questi lavori.

Io nel 2002 avevo un figlio piccolo.

Ho fatto il master e volevo fare lo stage, di gruppo, con il Professore, in Etiopia, zone rurali, molto remote, senza acqua, luce, sanità. Dirmi che non potevo portare il bambino sarebbe stato come dirmi che in realtà non potevo fare quella carriera, per la quale stavo studiando e lui ci stava insegnando. E infatti non lo ha detto, e siamo partiti.

Forse è stata una cosa da irresponsabili, ma è andato tutto liscio.

Io da allora mi occupo di Africa e di sviluppo e naturalmente questo Professore non me lo dimenticherò mai.

 

Marta Marson (master PVS 2001/2002)

 

 

Paolo era per me un amico, oltre che il professore che ha creduto in me più di chiunque altro mi avesse seguito durante gli studi. Non sono mai stata una studentessa modello, e in un rapporto professore-studente tradizionale la logica avrebbe suggerito di perdersi di vista dopo il corso a Venezia seguito tra il 2001 ed il 2002, ma così non è stato.

Dopo il Master ho intrapreso la mia strada, qualche anno in Africa, e poi in Germania, dove vivo e lavoro tuttora.  Dalla Germania ho portato i miei studenti non a caso proprio in Etiopia, Paese conosciuto per la prima volta insieme a Paolo, in occasione del nostro stage e sempre l’Etiopia è stata spesso motivo di dialogo, mentre Venezia un piacevole punto di incontro.

A volte penso di aver perso lungo la strada ciò che ho imparato da lui, ma poi torna tutto fuori come se non avessi mai smesso di ascoltarlo. Testardo, appassionato, puntiglioso ed estremamente generoso.  Nei momenti peggiori ho creduto di non farcela a seguire il fiume d’informazioni ed emozioni che emanava ogni volta che ci si incontrava ma ho resistito e sono contenta di aver avuto l´occasione di condividere con lui dei momenti così importanti della mia formazione.

Mi hai dato una grande forza, Paolo, e infuso fiducia nell’uomo. Mi piace pensare che anche questo secondo aspetto sia parimenti una forza.

 

Sara Caimi (master PVS 2001/2001)

 

 

Mi ero iscritto al master in pianificazione urbana e territoriale per i PVS affascinato dalla pianificazione urbana, e in pochi mesi il mio interesse è stato conquistato da Paolo Santacroce, sicuramente il professore che più ha segnato la mia vita accademica e lavorativa.

 

Dalle lezioni a Venezia, dove ha saputo trasmettermi la curiosità di studiare e capire le dinamiche della sicurezza alimentare; allo stage in Etiopia, efficace strumento di insegnamento sul campo che mi ha insegnato l’importanza della meticolosa preparazione per la ricerca; alla sua disponibile generosità nel condividere con uno studente la sua analisi per FAO/FIVIMS a Roma, Paolo mi ha aiutato a costruire il mio background e la mia professionalità.

 

Qualche tempo dopo la conclusione del master, mi scrisse: “Cercano uno per fare una sostituzione di tre mesi al World Food Programme, manda il curriculum”. Tredici anni dopo, posso dire che quello che mi aveva insegnato e che ho saputo fare grazie a lui in quei tre mesi, sono stati la chiave di volta di alcune scelte di vita importanti e il fondamento del mio lavoro.

 

Qualche mese fa, all’inizio di aprile, ho partecipato a una riunione del Programme & Policy Advisory Group del WFP. La riunione è stata fatta a Pechino, anche per sancire le nuove relazioni tra il WFP e il governo cinese. Durante i lavori, un funzionario cinese ha citato il lavoro pionieristico fatto da Paolo una ventina di anni fa per il WFP, lavoro che ha contribuito al successo delle politiche di poverty reduction che hanno gradualmente trasformato la sicurezza alimentare della Cina, passato da paese che riceveva aiuti a donatore. Mi sono riempito di orgoglio a sentire il nome del mio professore, e sono contento di averglielo scritto nel nostro ultimo scambio di email.

 

Mi mancherà il potergli chiedere un consiglio e il raccontarci degli ultimi libri che legano il cibo alla geografia e allo sviluppo. Ciao, Paolo!

 

Andrea Berardo (master PVS 2001/2002)