Undergraduate and graduate programmes offered by the University iuav of Venice:

Evolutio Visio

 

 

Sulle orme

di Gabriele Basilico

 

mostra

 

foto di

Giovanni Cecchinato

 

a cura di

Riccardo Caldura

Giovanni Cecchinato

 

in collaborazione con

Università Iuav di Venezia

15 > 30 gennaio 2016

ore 9 > 19, lun > ven

 

Ca’ Tron, piano terra

Santa Croce 1957, Venezia

inaugurazione

venerdì 15 gennaio 2016

ore 11.30

 

 

Il lavoro di Giovanni Cecchinato comincia dal ripercorrere lo sguardo e le particolari angolazioni urbane di un altro, grande, fotografo per cogliere la città non come condizione essenzialmente statica, cristallografica, ma quale condizione urbana soggetta a mutamenti e trasformazioni. Che avvengono nello spazio e nel tempo: quello intercorso fra la campagna fotografica di Gabriele Basilico del 2001, e la campagna attuale del fotografo mestrino. Il quale mette in scena una sorta di ideale reenactment, non limitandosi però a ‘rifare’, ma assumendosi il compito anche di reinterpretare nuovamente l’evolversi di questa città.

 

 

Questa città mai vista prima

Dopo qualche telefonata, ci si incontra e si comincia a ragionare intorno ad una possibile mostra. La collaborazione con Giovanni Cecchinato nasce così, con una precondizione da lui stesso posta o meglio un ben definito punto di partenza, che in qualche modo però riguarda entrambi noi. Riferirsi esplicitamente a precedenti serie fotografiche, dedicate alla terraferma veneziana, realizzate da Gabriele Basilico in tre distinti appuntamenti: nel 1996 in occasione di un progetto con Stefano Boeri per la VI Biennale di Architettura (Sezioni del paesaggio italiano, in cui compariva fra i sei assi stradali scelti da Basilico anche la Venezia/Mestre-Treviso), nel 1997 con Paolo Costantini, in questo caso con più attenzione alla zona industriale in vista di una importante collettiva Venezia-Marghera. Infine nel 2001, con il sottoscritto, in occasione di un’altra collettiva, che avevo curato: TerraFerma, la mostra di apertura del Centro Culturale Candiani. Il lavoro Mestre 2001 era costituito da una settantina di scatti in medio formato (6x9 cm, in buona parte ancora inediti) dedicati alla sola città di terraferma. Che non è, come si potrebbe credere, un comune autonomo, ma una parte della municipalità di Venezia, la parte ‘nuova’, sorta fra la laguna e l’entroterra, dove risiedono circa 2/3 degli abitanti. Vi sono stati reiterati appuntamenti espositivi nei quali quei lavori di Basilico sono stati esposti, sia con lui che seguiva le fasi di allestimento, sia, purtroppo, dopo il suo esser venuto meno nel 2013. Il lavoro di Cecchinato aveva dunque un importante punto di partenza: ripercorrerne i luoghi, rifotografarli, in una sorta di reenactment che aveva però come compito non solo il ‘rifare’, ma soprattutto osservare e registrare quali trasformazioni fossero intervenute in un determinato tessuto urbano considerando i quindici anni trascorsi fra l’una campagna fotografica e l’altra.

 

Si può certamente discutere se il lavoro di Basilico dedicato alla terraferma veneziana sia da annoverare fra i suoi impegni di maggior rilievo, considerando l’estrema qualità di alcune sue importanti serie come da Bord de mer, o Berlino, senza dimenticare ovviamente le sue esplorazioni milanesi. Si tratta in ogni caso di un lavoro estremamente coerente con altre serie simili, altrettanto dedicate a specifici contesti territoriali e urbani (dal Trentino, lavoro ora al Mart, ad arrivare a Bari). È certo comunque che quello sulla terraferma veneziana è ascrivibile a pieno titolo nella indagine internazionale del fotografo sulla Scattered City, nel cui catalogo fra le immagini appare non a caso anche uno degli scatti dedicati a Mestre. Perché Mestre, ed è un punto che va evidenziato anche per comprendere da cosa muova poi il lavoro di Cecchinato, ha rappresentato un caso, a suo modo esemplare, per indagare il ‘carattere’ della città anonima, della città ‘ovunque’, di quella che Basilico definiva la ‘città media’.

 

“È per questo forse che il mio interesse e la mia attenzione non sono rivolti alla bellezza in sé, per esempio dei grandi monumenti o all’architettura come espressione di cultura e storia, ma preferibilmente alla ‘città media’ e in particolare alle periferie e alle zone medie, quelle nelle quali, dal punto di vista dell’architettura, la qualità dell’ambiente urbano si diluisce fino a smarrirsi” (G. Basilico, Architetture, città, visioni, 2007).

 

Non è affatto semplice cogliere questo aspetto così sfuggente, cioè la ‘caratteristica’ in cui possa ancora essere riconosciuta, nella ‘città media’, questa città. Il lavoro di Cecchinato comincia da qui, cioè dal ripercorrere lo sguardo e le particolari angolazioni urbane di un altro, grande, fotografo per cogliere la città nella sua ‘medietà’, intesa non come condizione essenzialmente statica, cristallografica, ma quale condizione urbana comunque soggetta a mutamenti e trasformazioni: dunque più organismo che cristallo. Una città osservata come se si trattasse di un testo, da rileggere e da sottolineare, posizionando adeguatamente lo stativo e la macchina fotografica. Mestre, tessuto urbano che oscilla fra luogo e non-luogo, è composta da una relativa anonimia del costruito, con brani architettonicamente più coerenti risalenti agli anni ’60, esiti stilisticamente modernisti, dovuti al diffondersi ubiquitario di quell’ International style, razionalista e costruttivista nato fra le due guerre mondiali. Tessuto urbano nel quale comunque sono presenti brani della città ottocentesca e di inizio novecento, così come vi sono ‘isole’ urbane che evidenziano il tentativo di dar forma ad un qualche equilibrio fra la residenzialità di terra e il mondo vicinissimo legato all’acqua (Villaggio San Marco a Mestre). Sono presenti nondimeno anche episodi molto più recenti di architettura contemporanea di qualità, che Basilico non poteva certo prefigurare, ma che Cecchinato ha osservato, registrato e restituito. Nasce così un lavoro e una riflessione sulla città odierna, che non ha valenze solo locali, cioè non è solamente di Mestre che si tratta. Piuttosto si tratta di comprendere quale forma venga assumendo oggi la città contemporanea, come dialoghino le sue diverse parti, ammesso che dialoghino, e non semplicemente convivano accostate l’una all’altra come tracce di altre città, di altri possibili racconti urbani. Nei più espliciti omaggi che Cecchinato rivolge al fotografo milanese, grazie in particolare alla voluta riproposizione del classico b/n, si può cogliere una sorta di narrazione del costruito, nel ritmo fra i pieni e i vuoti, nelle tipologie di spazi, che viene definendo un qualche carattere della città più attraverso degli infra segni, che non attraverso segni dal riconoscibile valore rappresentativo e dunque identitario, rispettando dunque il carattere discreto della città media di cui parlava Basilico. Però vi è dell’altro, e accade quando il rispetto verso il grande fotografo non si limita a riproporre questa o quella sua angolatura. Quando, ad esempio, Cecchinato mette alla prova la propria personale sensibilità cromatica e formale; o quando coglie il marcato carattere individuale e stilistico del manufatto architettonico, vedendo nell’episodico il delinearsi di un nuovo, possibile orizzonte. Assai significativa in questo senso è l’immagine presa dalla tangenziale, che registra una sorta di sorprendente skyline della terraferma, oppure la tensione che si avverte fra aree vuote (parcheggi, piazzali, slarghi stradali), aree verdi che oscillano fra la monotonia e l’informe, e il profilarsi dell’edificato. Sono questi i luoghi /non luoghi dove la città che si pensava di conoscere si mostra come se non fosse la medesima città. Viene da chiedersi se non sia proprio questa sensazione di sottile straniamento il passaggio necessario affinché, grazie ancora una volta ad un attento lavoro fotografico, si assuma noi una nuova consapevolezza del contesto nel quale viviamo.

 

Riccardo Caldura